La Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, con la Sentenza n. 832, emessa all'udienza del 15 dicembre 2017 (deposito motivazioni in data 11 gennaio 2018), si è pronunciata sulla questione relativa all'applicabilità della nuova disposizione di cui all'art. 442 comma 2 c.p.p., così come modificato dall'art. 1 comma 44 l. 103/2017, anche alle fattispecie anteriori all'entrata in vigore di tale riforma, stante il regime più favorevole per l'imputato ora previsto da tale norma.
Tra le modifiche introdotte dalla c.d. "Riforma Orlando", si annovera infatti una riduzione di pena per le contravvenzioni (pari alla metà) maggiore rispetto a quanto disposto dal testo normativo precedente, ove la diminuzione era pari ad un terzo di pena, analogamente a quanto previsto per i delitti.
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Ancona aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale per il reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.
Con uno dei motivi di ricorso, l'imputato chiedeva l'applicazione retroattiva del nuovo testo dell'art. 442 comma 2 c.p.p., così come risultante dalla modifica apportata dalla c.d. "Riforma Orlando", con la conseguente applicazione di una maggiore riduzione della pena in virtù del rito prescelto.
La Suprema Corte ha accolto tale motivo, riaffermando innanzitutto l'insegnamento offerto dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18821/2013: in tale pronuncia si era affermato come l'art. 442 comma 2 c.p.p., pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, dal momento che disciplina "la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato"; da ciò deriva come essa debba "soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7, p. 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire l'irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell'art. 25 comma 2 Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa".
Sebbene l'art. 442 comma 2 c.p.p. - ha osservato la Corte -, si inserisca nell'ambito della disciplina processuale e non di quella sostanziale, prevedendo un più favorevole trattamento sanzionatorio a seguito di una condotta dell'imputato successiva al reato, tale diminuzione di pena rappresenta un aspetto sostanziale, quindi riconducibile all'ambito applicativo dell'art. 25 comma 2 Cost.; dunque, i profili processuali risultano "intimamente ed inscindibilmente connessi a quelli sostanziali".
D'altra parte, la giurisprudenza di legittimità si era già espressa in tal senso attraverso un'altra pronuncia delle SS.UU., la n. 2977/1992: in essa si era affermato come la Sentenza della Corte Costituzionale n. 176/1991, che aveva dichiarato l'illegittimità proprio dell'art. 442 comma 2 c.p.p. nella parte in cui ammetteva al giudizio abbreviato l'imputato anche in relazione ad un reato punibile con l'ergastolo, non potesse determinare effetti svantaggiosi nei confronti degli imputati di reati punibili con l'ergastolo che avessero richiesto tale rito prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Per questi imputati, dunque, si affermò come dovesse rimanere fermo il trattamento penale di favore di cui essi avevano goduto, in virtù della scelta del procedimento speciale, i cui atti non potevano più quindi essere annullati.
Si è quindi riaffermato il principio di diritto per cui "il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all'art. 2 c.p., pur restando tuttora confermato che la riduzione di pena prevista dall'art. 442 comma 2 c.p.p., essendo finalizzata alla produzione di effetti puramente premiali in funzione di una specifica scelta processuale operata dall'imputato, va applicata per ultima, sulla pena quantificata dal giudice, comprensiva anche dell'eventuale aumento per la ritenuta continuazione".
Resta tuttavia fermo come la retroattività della disposizione più favorevole non sia applicabile alla disciplina prevista da norme processuali.
Proprio in virtù di tale principio - hanno osservato i giudici di legittimità -, in una sentenza della Prima Sezione della Corte di Cassazione pronunciata nel 2012 si ritenne inammissibile il ricorso avverso il rigetto di un'istanza volta ad ottenere, in sede esecutiva, la riduzione di pena prevista dall'art. 442 c.p.p. in favore di un condannato a pena detentiva diversa dall'ergastolo cui era stato negato l'accesso al giudizio abbreviato a causa del mancato consenso del Pubblico Ministero, all'epoca richiesto dalla legge, poi modificata su tale punto nel 1999.
Tale rigetto fu motivato sulla base della considerazione per cui la natura sostanziale della diminuzione premiale prevista per il rito abbreviato, affermata anche dalla CEDU nella Sentenza del 17 settembre 2009 (caso Scoppola c. Italia), non implica la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa riguardante i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, che rimane rimessa alla scelta del legislatore nazionale, senza poter essere mutata dalla giurisprudenza comunitaria.
In relazione alla fattispecie posta alla sua attenzione, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha pertanto affermato il principio di diritto per cui "l'art. 442 comma 2 c.p.p., come novellato dalla l. 103/2017, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo, se si procede per una contravvenzione, pur essendo disposizione processuale, comporta un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole e si applica come stabilisce l'art. 2 comma 4 c.p. anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile".
La Sentenza della Corte d'Appello è stata dunque annullata senza rinvio limitatamente alla misura della pena, che è stata rideterminata dalla Suprema Corte.