Con la Sentenza n. 4622, pronunciata all'udienza del 15 dicembre 2017 (deposito motivazioni in data 31 gennaio 2018, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha preso in esame la questione relativa al rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'art. 521 c.p.p., nell'ipotesi in cui in sentenza il giudice individui, in relazione ad un delitto colposo, una differente posizione di garanzia a fondamento della responsabilità.
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato avverso la sentenza con cui il Tribunale di Latina aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Giudice di Pace per il reato di lesioni personali colpose.
Nella fattispecie, era contestato all'imputato, quale legale rappresentante di una s.r.l. locatrice di un immobile ad uso officina, di aver installato e mantenuto in opera una porta scorrevole di accesso al locale priva dei necessari dispositivi atti ad impedire che la stessa potesse fuoriuscire dai propri binari di scorrimento; inoltre, di aver omesso di installare un meccanismo di fine corsa in corrispondenza della parte superiore della porta.
All'imputato era contestata sia la colpa generica, consistente in negligenza, imprudenza ed imperizia, sia la colpa specifica, per violazione del punto 1.6.12, All. 4 D. Lgs. 81/2008.
L'imputato fondava il proprio ricorso, tra altri motivi, anche sulla tesi della violazione dell'art. 521 c.p.p., con conseguente nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p..
Egli sosteneva infatti come la violazione degli obblighi giuridici a suo carico avesse riguardato, in primo grado, il rapporto tra proprietario dell'immobile ed affittuario, ma con riferimento alle norme in materia di infortuni nei luoghi di lavoro; in appello, invece, il giudice aveva affermato la responsabilità sulla base degli obblighi cui è tenuto il locatore ai sensi dell'art. 1575 c.c., e con riferimento a circostanze di fatto non analizzate nel giudizio di primo grado. Di conseguenza, ne sarebbe risultato leso il diritto di difesa, essendo diverso difendersi circa una responsabilità che derivi da un macchinario difettoso fornito in locazione rispetto ad una responsabilità consistente nel non aver adempiuto agli obblighi gravanti sul proprietario del bene locato, e consistenti nella manutenzione sulla cosa oggetto del rapporto di locazione.
Inoltre, il ricorrente sosteneva come fondare la responsabilità dell'imputato sulla norma di cui all'art. 1575 c.c. avrebbe reso necessario esaminare una serie di circostanze rilevanti in tal senso. Tra di esse, veniva annoverato il fatto che la persona offesa avesse accettato il manufatto sottoscrivendo la clausola di gradimento due anni prima del verificarsi dell'evento e la verifica circa la mancanza ab origine del fermo sulla porta scorrevole.
Infine, si affermava come fosse illogico e contraddittorio prendere in considerazione il rapporto giuridico esistente al momento in cui esso era stato costituito e non quello esistente tra autore del reato e persona offesa al momento all'epoca della verificazione dell'evento. In questo modo, infatti, si affermava il rapporto di causalità nella colpa sulla base della consegna da parte dell'imputato alla persona offesa di un locale in cattivo stato di manutenzione, fatto tuttavia accertato due anni dopo la consegna dell'immobile.
La Suprema Corte ha innanzitutto rilevato l'intervenuta prescrizione del reato, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza per estinzione del reato, non sussistendo le condizioni per pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 129 comma 2 c.p.p.. Tuttavia, in applicazione dell'art. 578 c.p.p., si è proceduto ad esaminare il fondamento dell'azione civile, essendo stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni.
Con riguardo al motivo di ricorso sopra esposto, la Corte ha dapprima ricordato un consolidato principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità circa la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell'ambito dei reati colposi. Tale violazione - si è osservato in sentenza - non sussiste se la contestazione concerne globalmente la condotta colposa, mentre è consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.
Inoltre, affinché si possa parlare di "fatto diverso", come richiesto dall'art. 521 c.p.p., con conseguente obbligo del giudice di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero, la Corte ha ribadito come restino necessarie le condizioni già specificate dalle SS.UU. con la sentenza Carrelli del 15/07/2010 (n. 36551): "per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione".
Pertanto, alla base del principio di correlazione tra accusa e sentenza vi è la finalità di consentire all'imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze rilevanti del fatto oggetto dell'imputazione, con la conseguenza che non vi è violazione del principio in discorso ogni qual volta tale possibilità per l'imputato non risulta sminuita. Se tale diritto è stato garantito, non si può parlare di mutamento del fatto, fermo restando il potere del giudice, previsto dall'art. 521 c.p.p., di dare ad esso la qualificazione giuridica che ritiene più appropriata. In definitiva, ha affermato la Corte "siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza".
Con riferimento, dunque, alla fattispecie in esame, i giudici di legittimità hanno escluso che il riferimento ad una normativa prevista per la disciplina della sicurezza in materia di lavoro, effettuato nel capo d'imputazione, incida di per sé sul fatto inteso quale episodio della vita umana, attenendo, invece, allo schema legale nel quale viene sussunta una determinata condotta.
Inoltre, all'imputato era effettivamente contestato di aver agito quale legale rappresentante della società locatrice dell'immobile ove si era verificato l'evento lesivo: pertanto, egli aveva avuto la necessità di preparare la propria difesa anche con riguardo al profilo della colpa concernente la posizione di garanzia del locatore.
Quanto al fatto, invece, che l'imputato non si fosse più occupato dell'amministrazione dell'immobile, rimasto da due anni nella piena disponibilità della persona offesa, la Corte ha osservato come tra le obbligazioni gravanti sul locatore si annoverino gli obblighi di manutenzione e riparazione, ex artt. 1575 e 1577 c.c., nonché la responsabilità per i vizi della cosa locata che la rendano pericolosa per la salute del conduttore, ex artt. 1578 e 1580 c.c.. Dunque, la condotta contestata all'imputato, ossia, come detto, l'aver omesso l'installazione di un meccanismo di fine corsa in corrispondenza della parte superiore della porta, va ricondotta all'area di rischio che grava sul locatore in virtù del contratto concluso. Le attività manutentive sono infatti finalizzate a garantire che l'uso ed il godimento del bene locato non determinino pericoli in capo al conduttore.
Peraltro, già il Giudice di Pace aveva individuato la posizione di garanzia dell'imputato in quanto proprietario dell'immobile, rilevando poi come non risultassero tracce dell'installazione dei predetti congegni di fermo-corsa.
Ad ulteriore sostegno alla propria conclusione, la Corte ha inoltre osservato come fosse stata la stessa difesa dell'imputato a proporre, nell'atto d'appello, la tesi della riconducibilità della fattispecie concreta al rapporto di locazione commerciale tra l'imputato e la persona offesa, a riprova di come l'imputato avesse potuto pienamente esercitare il proprio diritto di difesa.
Il Tribunale, dal canto suo, aveva condiviso l'assunto difensivo per cui la norma cautelare menzionata nel capo d'imputazione non fosse il giusto parametro di colpa specifica, ma nel contempo aveva sottolineato l'esatta descrizione del fatto storico presente nel capo d'imputazione, presupposto per l'esercizio del diritto di difesa. Nel contempo, aveva individuato nell'art. 1575 c.c. la fonte della posizione di garanzia del proprietario dell'immobile, osservando come i vizi strutturali rilevati nella porta scorrevole costituivano violazione dell'obbligo del locatore di consegnare il locale in un buono stato di manutenzione. Tali vizi sono stati considerati come causalmente correlati all'evento lesivo con elevata credibilità razionale, attesa l'insussistenza di plausibili fattori causali alternativi e l'assenza di prove in merito alla tesi difensiva per cui la porta non fosse la stessa rispetto a quella installata al momento della consegna dell'immobile.
In definitiva, la Corte ha quindi respinto il motivo di ricorso consistente nella violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, non essendo emerso in nessun modo come la differente posizione di garanzia individuata nel giudizio d'appello abbia inciso negativamente sull'esercizio del diritto di difesa.
La Corte, dunque, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato, mentre ha rigettato il ricorso agli effetti civili.