sabato 15 settembre 2018

Contrasto giurisprudenziale in tema di riconoscibilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto nell'ipotesi di continuazione di reati.

La Corte di Cassazione, con due diverse sentenze pronunciate dalle Sezioni Sesta e Seconda, ha preso recentemente in esame il tema relativo alla riconoscibilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione. Le due pronunce sono pervenute ad esiti opposti, confermando l'esistenza, in relazione a tale questione, di un contrasto giurisprudenziale, in attesa di un eventuale intervento delle Sezioni Unite.

La prima di tali sentenze, la n. 3353, è stata emessa dalla Sesta Sezione Penale in data 13 dicembre 2017, con deposito delle motivazioni avvenuto il 24 gennaio 2018.

Il giudizio di legittimità è stato in questo caso originato dal ricorso congiunto presentato da due imputati avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano riformava parzialmente in punto pena la pronuncia del G.U.P. della medesima città, che aveva ritenuto responsabili i ricorrenti del reato di cui agli artt. 81, 110, 353 bis c.p.. Ad essi era stato contestato di aver eluso le procedure di affidamento dei lavori per la realizzazione dell'impianto di climatizzazione del Comune ove erano responsabili l'uno del settore lavori pubblici e l'altro del servizio manutenzioni. Gli imputati avrebbero proceduto, secondo la tesi accusatoria, all'affidamento diretto dei lavori a determinate imprese mediante artificiosi frazionamenti delle singole commesse per realizzare il predetto impianto.

Nel ricorso per cassazione, gli imputati avevano chiesto l'annullamento della sentenza, oltre ad altri motivi, anche per violazione di legge e vizio di motivazione, stante la mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p..

La Suprema Corte ha giudicato tale motivo di ricorso manifestamente infondato, avendo il procedimento penale ad oggetto reati avvinti dal vincolo della continuazione.
I giudici di legittimità hanno infatti osservato come il reato continuato configuri un'ipotesi di "comportamento abituale" (quindi ostativo alla concessione della causa di non punibilità in discorso, ex art. 131 bis comma 1 ultima parte c.p.), essendo esso costituito dalla reiterazione di condotte penalmente rilevanti, le quali implicano una "devianza non occasionale" da parte dell'imputato. 
Inoltre,  la Corte ha rilevato come ai fini del riconoscimento del carattere abituale del comportamento non sia necessario un pregresso accertamento in sede giudiziaria, non sussistendo pertanto, neppure sotto questo profilo, un motivo ostativo alla qualificazione come "abituale" del reato continuato.

Stante il mancato accoglimento anche degli altri motivi di ricorso, la Suprema Corte ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso.

La seconda sentenza, dall'esito opposto, è stata invece pronunciata dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione in data 7 febbraio 2018, con deposito delle motivazioni in data 2 marzo 2018 (n. 9495).

In questa fattispecie, il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Venezia aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Padova aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti degli imputati in relazione al reato di indebito utilizzo di una carta di credito smarrita, applicando la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..
Il ricorrente aveva contestato tale decisione, sostenendo come essa fosse preclusa dalla contestazione in concorso di due distinte condotte criminose, integranti reati della stessa indole e unite dal vincolo della continuazione.

La Suprema Corte ha presso le mosse, nell'esporre la propria motivazione, dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 13681/2016.
In tale sentenza, si era affermato come il giudizio circa la particolare tenuità del fatto si debba fondare su di una valutazione complessiva, che tenga conto di tutte le peculiarità del caso concreto: il riferimento di tale giudizio è costituito dall'art. 133 c.p., con particolare riguardo alle modalità della condotta, al grado di colpevolezza ed all'entità del danno o del pericolo. Inoltre, all'esiguità del fatto deve accompagnarsi, secondo quanto previsto dalla norma di cui all'art. 131 bis c.p., la non abitualità della condotta: tale requisito non può dirsi soddisfatto non soltanto allorché l'imputato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ma anche nell'ipotesi in cui vengano commessi più reati della stessa indole, anche se ciascuno di essi, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. Infine, il legislatore ha ricondotto alla nozione di "abitualità" anche le condotte plurime e reiterate (art. 131 bis comma 3 c.p.).
Le Sezioni Unite avevano inoltre affermato come il comportamento criminoso dell'imputato sia definibile come abituale quando egli, anche successivamente al reato per cui si procede, commetta almeno due ulteriori illeciti, con la possibilità per il giudice di considerare non solo le condanne irrevocabili e gli stessi illeciti oggetto della sua cognizione, ma altresì i reati già dichiarati in precedenza non punibili ex art. 131 bis c.p..

In definitiva, dunque - ha osservato il Collegio della Seconda Sezione Penale - l'abitualità del comportamento, ostativa al riconoscimento dell'esimente, è integrata in tutte le fattispecie in cui ricorre una reiterazione di condotte illecite, come avviene principalmente nelle ipotesi di recidiva e di reati abituali, oltre che nel caso di commissione di reati della stessa indole, oppure "espressivi di una progressione criminosa potenzialmente rilevante ai fini della continuazione".

Proprio con riferimento alla fattispecie del reato continuato - ha riconosciuto la Corte - un prevalente orientamento giurisprudenziale (cui appartiene la sentenza in precedenza esaminata) ritiene che vi sia incompatibilità tra reato continuato e causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto il reato continuato configurerebbe un'ipotesi di comportamento abituale, dunque ostativa all'applicazione dell'art. 131 bis c.p..

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno rilevato come si sia formato in materia un diverso orientamento giurisprudenziale, il quale ammette invece l'applicazione della causa di non punibilità in oggetto nell'ipotesi di continuazione di reati. Tale orientamento ritiene che debba essere esclusa un'automatica identificazione tra continuazione ed abitualità nel reato, in quanto la prima non comprenderebbe in ogni fattispecie comportamenti criminosi di carattere seriale, quindi espressivi dell'abitudine dell'imputato a violare la legge. 
Invero, andrebbero distinti quei comportamenti che, pur integrando reati uniti dal vincolo della continuazione, riguardano azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo.
Tale orientamento risulta - secondo la Corte - maggiormente preferibile in quanto fondato sulla valutazione della reale offensività del fatto di reato alla luce dei parametri di cui all'art. 133 c.p., considerando quindi la natura degli illeciti, le modalità esecutive, l'intensità del dolo e della colpa, il numero delle disposizioni di legge violate ed i beni giuridici lesi. Nel contempo, tale interpretazione non cadrebbe nel rischio di desumere il carattere abituale del comportamento esclusivamente dal criterio di cui all'art. 81 c.p., finalizzato invece a soddisfare la differente esigenza di mitigare il cumulo materiale delle pene nell'ipotesi di più reati determinati da un'unitaria propensione a delinquere invece che da reiterazioni rinnovate ed autonome.
Inoltre, la tesi in oggetto coglierebbe meglio la distinzione tra il concetto di "abitualità" e quello di "occasionalità" (previsto come esimente nel procedimento penale minorile e in quello innanzi al giudice di pace), il quale si riferisce ad una devianza del tutto isolata ed estemporanea; la nozione di abitualità, invece, si estenderebbe in tutto lo spazio intercorrente tra la condotta meramente estemporanea ed avulsa dallo stile di vita dell'imputato, da un lato, e quella caratterizzata da una vera e propria proclività a delinquere o dalla recidivanza in senso stretto, dall'altro.

La Corte ha dunque ritenuto di aderire a tale secondo orientamento, affermando come il vincolo della continuazione non sia di per se stesso ostativo all'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.: è infatti necessario verificare previamente se le violazioni siano o meno in numero tale da costituire un'espressione di serialità o di progressione criminosa caratterizzata da una particolare intensità del dolo. Ciascuna delle condotte illecite deve perciò essere specificamente valutata ai sensi dell'art. 133 c.p., con riferimento ai parametri della condotta, del danno e della colpevolezza. 
Il giudizio, dunque, circa la sussistenza di un'abitualità ostativa deve essere compiuto considerando complessivamente i reati unificati dal vincolo della continuazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera reiterazione.

Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte ha pertanto confermato l'applicazione della causa di non punibilità nei confronti di uno dei due imputati, considerando a tal fine i limiti edittali del delitto contestato, il numero degli episodi contestati in concorso, pari a due, la complessiva esiguità del danno nonché lo stato di incensuratezza dell'imputato.
A difforme decisione sono invece pervenuti i giudici di legittimità in relazione al secondo imputato, attesa la contestazione nei suoi confronti della recidiva reiterata ex art. 99 comma 3 c.p., di per sé ostativa all'accesso al beneficio ai sensi dell'art. 131 bis comma 4 c.p.: la Corte ha comunque osservato come l'applicazione della causa di non punibilità sarebbe stata preclusa anche nel merito, stanti i precedenti penali dell'imputato, erroneamente ritenuti dal G.U.P. di diversa indole e non espressivi di abitualità.
Solamente nei confronti di quest'ultimo imputato è stata dunque pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio, mente il ricorso del Procuratore Generale è stato rigettato nel resto.