In un precedente articolo pubblicato su questo blog il 15 agosto scorso si era segnalato come la Sesta Sezione Penale della Suprema Corte avesse affermato, in tema di giudizio d'appello celebrato a seguito di impugnazione di una sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato, il seguente principio di diritto (sent. n. 7425, ud. 11.01.2018):
"In tema di decisioni assunte dalla Corte di appello in camera di consiglio (nella specie, impugnazione di sentenza resa all'esito di giudizio abbreviato), il termine a comparire è quello di venti giorni stabilito dall'art. 601 comma 3 c.p.p., dovendosi ritenere che questa norma, per la sua collocazione e per il suo contenuto specifico, disciplini in via generale, quanto agli atti preliminari, lo svolgimento del giudizio di impugnazione, sia per il dibattimento, sia per le forme camerali, riguardando il rinvio all'art. 127 c.p.p., di cui all'art. 599, comma 1 dello stesso codice, il solo svolgimento dell'udienza camerale e non anche il più breve termine di comparizione".
Deve tuttavia evidenziarsi come, in seno alla medesima Sezione della Suprema Corte, si sia manifestato, circa questo tema relativo al giudizio abbreviato, un diverso orientamento, affermato con la Sentenza n. 8248, pronunciata all'udienza del 4 gennaio 2018 (deposito motivazioni in data 20 febbraio 2018).
In tale procedimento, un'imputata aveva presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal G.I.P. del Tribunale di Sondrio per il reato di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90.
A fondamento del proprio ricorso, ella aveva sostenuto come la Corte d'Appello avesse violato l'art. 601 comma 5 c.p.p., essendo mancato il rispetto del termine di comunicazione dell'udienza d'appello al difensore, al quale era stato notificato il relativo avviso solo dieci giorni prima dell'udienza, invece che venti giorni prima, come previsto dalla predetta norma. Peraltro, tale eccezione era stata ritualmente presentata alla Corte d'Appello in via preliminare all'udienza, ma rigettata perché ritenuta infondata.
La Suprema Corte ha dapprima ribadito come l'inosservanza del termine di cui all'art. 601 comma 5 c.p.p. integri non una nullità assoluta ed insanabile, ma relativa, dovendo pertanto essere dedotta nel termine di cui all'art. 491 c.p.p..
Con riguardo alla questione oggetto del ricorso, i giudici di legittimità hanno invece affermato come essa debba essere affrontata facendo riferimento a quanto previsto dall'art. 443 c.p.p., concernente l'appello nei confronti di sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato. Tale articolo, al comma 4, stabilisce come il giudizio d'appello si svolga con le forme previste dall'art. 599 c.p.p.; quest'ultimo, a sua volta, fa rinvio, al primo comma, all'art. 127 c.p.p., riguardante il procedimento in camera di consiglio. In tale disposizione, è previsto, con riferimento all'avviso ai difensori della data d'udienza, un termine di dieci giorni, inferiore dunque della metà rispetto a quello previsto dall'art. 601 comma 5 c.p.p..
La Corte ha aderito in questa sentenza all'orientamento (formatosi sempre in seno alla Sesta Sezione) che si fonda sull'applicazione, nella fattispecie in esame, dell'art. 127 c.p.p., spiegando come tale interpretazione sia fondata sulla minore complessità dei giudizi che si svolgono in camera di consiglio, e che spesso non coinvolgono complesse questioni di fatto o di diritto.
I giudici di legittimità hanno poi osservato come, in effetti, debba registrarsi, come anticipato, un opposto orientamento secondo il quale il termine per comparire andrebbe individuato in quello di venti giorni stabilito dall'art. 601 comma 3 c.p.p., in ragione "dell'onnicomprensività della disciplina in ordine agli atti preliminari al giudizio dettata dalla norma e della sua specificità rispetto alla previsione di cui all'art. 127, comma 1 c.p.p., circa il più breve termine di dieci giorni".
La Corte ha tuttavia ritenuto tale orientamento non condivisibile, in quanto, pur essendo vero che l'art. 601 c.p.p. stabilisce regole generali disciplinanti gli atti preliminari al giudizio d'appello, deve nel contempo essere considerata sia la specificità del giudizio abbreviato quale rito speciale "connotato dalla semplicità delle forme", sia la collocazione di norme in materia d'appello nell'ambito della disciplina di questo procedimento speciale (art. 443 c.p.p.). Da tali elementi si può dedurre, secondo i giudici di legittimità, che il rinvio operato, nell'art. 443 comma 4 c.p.p., all'art. 127 c.p.p. costituisca un'eccezione alla norma di cui all'art. 601 comma 5 c.p.p.; in altri termini, la norma di cui all'art. 443 c.p.p. si troverebbe in rapporto di specialità rispetto a quella contenuta nella disciplina del giudizio d'appello in generale.
Come detto, tale specialità troverebbe la sua ratio "nella snellezza e semplicità di forme che il legislatore ha delineato per il rito abbreviato anche in tema di termini e celere definizione dei relativi procedimenti". E' da considerarsi dunque errato - ha osservato la Corte - il riferimento alla semplicità dei giudizi, i quali possono essere caratterizzati anche da notevole complessità; l'aspetto dirimente è invece da ricercarsi nella maggiore semplicità e snellezza delle forme del giudizio abbreviato, le quali consentono una rapida definizione del processo, con la relativa diminuzione di pena prevista dal legislatore come contropartita premiale per la limitazione dei diritti dell'imputato.
Contrariamente a quanto stabilito dalla Sentenza n. 7425/18, la Corte ha dunque affermato il seguente principio di diritto:
"Nel giudizio di appello avverso sentenza pronunziata a seguito di giudizio abbreviato si applica il più breve termine di comparizione (non inferiore a dieci giorni) previsto in via generale dall'art. 127 c.p.p. e non quello di cui all'art. 601, comma 5, dello stesso codice".
La Suprema Corte ha pertanto ritenuto non fondato, e dunque rigettato, il ricorso presentato dall'imputata.