martedì 25 dicembre 2018

Messa alla prova: la Suprema Corte ribadisce come il provvedimento di revoca della sospensione del procedimento possa essere fondato su fatti costitutivi di un'ipotesi di reato, ancorché non accertati in via definitiva.

Con la Sentenza n. 22066, pronunciata all'udienza del 6 aprile 2018 (deposito motivazioni in data 18 maggio 2018), la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha preso in esame il tema relativo ai presupposti per la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento, in particolare, all'apprezzamento, da parte del giudice, di un procedimento penale ancora in corso.

Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da un'imputata avverso l'ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Treviso aveva revocato la sospensione del procedimento con messa alla prova disposta a beneficio della ricorrente, con contestuale restituzione degli atti al Pubblico Ministero.

Con uno dei motivi di ricorso, l'imputata contestava violazione di legge ed illegittimità dell'Ordinanza impugnata, stante la violazione, da parte del provvedimento di revoca, dell'art. 168 quater c.p., concernente le ipotesi tassative al ricorrere delle quali tale decisione può essere adottata. 
Il G.I.P. aveva infatti disposto la revoca dell'ordinanza di sospensione basandosi unicamente sulla documentazione, pervenuta da una Stazione dei Carabinieri, con cui si attestava la contestazione all'imputata, a seguito di un incidente stradale, del reato di cui all'art. 186 comma 7 C.d.S.. Il Giudice aveva pertanto attribuito rilievo, ai fini della propria decisione, ad una notizia di reato non ancora verificata giudizialmente, con conseguente violazione del principio di non colpevolezza; al contempo, non aveva tenuto in debita considerazione né l'occasionalità della condotta da parte dell'imputata né la relazione stessa dell'Uepe, in cui si attestava il buon esito della prova da parte della medesima.
Inoltre, il G.I.P. non aveva correttamente valutato la documentazione, prodotta dalla ricorrente, concernente il ricorso da essa depositato, presso il Giudice di Pace di Treviso, avverso il predetto verbale di contestazione elevato nei suoi confronti dai Carabinieri, nonché il provvedimento dello stesso Giudice con cui era stata sospesa l'efficacia di tale verbale.

La Suprema Corte, esaminando il ricorso in oggetto, ha innanzitutto osservato come il Giudice abbia adottato il provvedimento di revoca per aver ritenuto l'imputata, in seguito ai fatti sopra descritti, non più meritevole del beneficio della sospensione del procedimento. Egli aveva infatti osservato come "a prescindere dall'esito positivo della messa alla prova attestato nella relazione conclusiva trasmessa dall'UEPE, la medesima aveva tenuto, ancora sottoposta a prova, una condotta esplicitamente riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, così dimostrando di non aver colto il disvalore della condotta già in pregresso tenuta (guida in stato di ebbrezza nel più elevato grado - lett. c) - e causazione di sinistro), ma, al contrario, assumendo un contegno, oltreché in violazione del disposto di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, altresì irrispettoso degli operanti intervenuti in loco su richiesta di terzi".
I giudici di legittimità hanno ritenuto legittima tale motivazione del provvedimento impugnato: il G.I.P. non si è infatti limitato ad attribuire rilievo ad una mera notitia criminis, ma ha invece valutato gli atti di causa relativi alla circostanza oggettiva del rifiuto, da parte dell'imputata, di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, tenendo altresì conto di tutte le emergenze probatorie acquisite. Inoltre, quest'ultime non sono state ritenute in alcun modo inficiate dalla presentazione, da parte dell'interessata, del ricorso avverso il verbale di contestazione dell'illecito ex art. 186 comma 7 C.d.S..
Con specifico riferimento al disposto dell'art. 168 quater c.p., la Corte di Cassazione ha rilevato come esso preveda la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova "in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede"; tale disposizione non richiede, tuttavia, che in relazione a tale reato sia stata pronunciata una condanna definitiva. 
La Corte ha quindi ritenuto di dover confermare il principio di diritto per cui "in tema di revoca dell'ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, ai sensi dell'art. 168 quater c.p., il giudice può valutare anche un procedimento penale in corso, in quanto, ove la violazione di obblighi sia costitutiva di un'ipotesi di reato, possono essere apprezzati i fatti storicamente accertati e non è necessario attendere il passaggio in giudicato dell'eventuale condanna per stabilire se il condannato sia ancora meritevole del beneficio ottenuto".
Peraltro, si è altresì osservato come tale principio possa essere applicato anche in relazione alle misure alternative alla detenzione: la revoca delle stesse, se fondata su di un'adeguata motivazione, può conseguire da qualsiasi elemento probatorio, come un rapporto di polizia giudiziaria o le risultanze di un procedimento penale ancora in corso; possono quindi essere valutati, a tal fine "fatti storicamente accertati, costituenti ipotesi di reato riferibili all'interessato, senza necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, assumendo rilievo esclusivamente la valutazione della condotta dell'interessato al fine di stabilire se lo stesso sia meritevole del beneficio ottenuto".

Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputata.