La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 6287, pronunciata all'udienza del 6 febbraio 2019 (deposito motivazioni in data 8 febbraio 2019), ha preso in esame la questione relativa alla legittimità dell'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali rese da un testimone, oggetto di pressioni volte ad inquinare la genuinità delle sue dichiarazioni dibattimentali, il quale tuttavia non si sottragga all'esame dibattimentale e denunci invece le pressioni subite.
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale della medesima città per i reati di rapina e resistenza a pubblico ufficiale. Nel corso del dibattimento, erano stati acquisiti i verbali delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di indagini preliminari ai sensi dell'art. 500 c.p.p..
Mediante uno dei motivi di ricorso, l'imputato contestava violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'art. 500 commi 4 e 5 c.p.p.. Egli sosteneva come non risultassero elementi concreti comprovanti la presunta minaccia subita dalla persona offesa e come non fossero stati compiuti accertamenti per verificare la sussistenza di tale coartazione. L'illegittima acquisizione delle dichiarazioni della persona offesa avrebbe dunque determinato alcuni vizi in capo alla sentenza, attesa, specialmente, la mancanza di controesame e la mancata assunzione di prova decisiva inerente alla richiesta di rinnovazione dibattimentale avente ad oggetto l'assunzione della testimonianza della persona offesa.
L'imputato affermava quindi come fossero contraddittorie le ordinanze con cui il Tribunale aveva, dapprima, disposto un rinvio per assumere la testimonianza della persona offesa con l'ausilio di un interprete e, successivamente, aveva ritenuto di acquisire i verbali delle dichiarazioni predibattimentali della medesima persona offesa, sulla base della circostanza per cui essa, in sala testimoni, aveva affermato di essere stata minacciata, come in seguito riferito dagli operanti ivi presenti.
Inoltre, l'ordinanza di acquisizione dei verbali emessa dal Tribunale era stata, secondo l'imputato, non conforme al principio di diritto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale, quando il testimone oggetto di pressioni non si sottrae all'esame dibattimentale, è illegittima l'acquisizione delle dichiarazioni da egli precedentemente rese senza procedere all'esame dello stesso, asseritamente minacciato.
La Corte ha dunque preso in esame la questione se la norma di cui all'art. 500 comma 4 c.p.p. richieda la previa audizione dibattimentale del dichiarante. A questo proposito, i giudici di legittimità hanno confermato quanto già stabilito dal Collegio con la Sentenza n. 37868/2014, a mente della quale "qualora il testimone destinatario di pressioni volte ad inquinare la genuinità della prova non si sottragga all'esame dibattimentale, è illegittima l'acquisizione a fini probatori, ai sensi dell'art. 500 comma 4 c.p.p., delle dichiarazioni predibattimentali in precedenza rese dallo stesso, se prima non si procede al suo esame".
La Corte d'Appello, così come il Tribunale, aveva invece fondato il proprio convincimento sulla base di un'altra massima della Suprema Corte, dal seguente tenore: "l'acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese al Pubblico Ministero dal testimone "condizionato", ai sensi dell'art. 500 comma 4 c.p.p., non richiede né la loro preventiva contestazione, né la presentazione del testimone al dibattimento, perché l'espressione "sono acquisite", impiegata dalla norma citata, indica un automatismo che ne consente l'acquisizione anche in assenza di una richiesta delle parti" (Sent. n. 27582/10).
Esaminando, tuttavia, la motivazione di tale ultima Sentenza, la Suprema Corte ha rilevato come in tale fattispecie la dichiarante, che si affermava fosse stata vittima di violenze e/o minacce finalizzate ad inquinare la genuinità delle sue future dichiarazioni dibattimentali e, prima ancora, ad incidere sulla sua volontà di rendere l'esame, non si era presentata in dibattimento. Il principio in discorso è stato poi ribadito in un'altra pronuncia della giurisprudenza di legittimità (n. 12463/11), ove si afferma: "Sono utilizzabili e legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento ex art. 500 comma 4 c.p.p. le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa, vittima di violenza sessuale, che, per sottrarsi a gravi intimidazioni finalizzate ad evitarne la deposizione o a ritrattare le accuse, sia costretta a rendersi irreperibile e non compaia in udienza per testimoniare".
Tale principio, hanno osservato i giudici di legittimità, ben si adatta ad una fattispecie di violenze o minacce poste in essere per indurre il testimone a non rendere il previsto esame dibattimentale e con il risultato più proficuo per il soggetto agente, ossia quello di averlo addirittura costretto a rendersi irreperibile. Tuttavia - si è rilevato - esso non può essere applicato alla fattispecie oggetto del giudizio in discorso, in cui la persona offesa, tutt'altro che definitivamente intimidita, aveva dapprima denunciato le pressioni ricevute e si era quindi presentata in dibattimento per rendere l'esame.
Dunque, per quanto fosse certo possibile - ove necessario - acquisire le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa ex art. 500 comma 4 c.p.p., indebito si è invece rilevato essere il preliminare rifiuto di procedere all'esame dibattimentale - in contraddittorio - del dichiarante.
La Corte ha infatti osservato come l'applicazione della disciplina acquisitiva di cui all'art. 500 comma 4 c.p.p. sia condizionata al ricorrere di uno dei seguenti presupposti:
1) "la non accettazione (in tutto od in parte) del contraddittorio da parte del testimone ("affinché non deponga"), in presenza della quale non sarebbero tout court ammesse contestazioni";
2) "l'accettazione del contraddittorio da parte del testimone ("o deponga il falso"), il quale renda, peraltro, dichiarazioni dibattimentali difformi rispetto a quelle predibattimentali solo perché inquinate dall'intervento della indebita turbativa esterna. In quest'ultima fattispecie, il riferimento all'eventualità di una precedente contestazione (e quindi alla necessita che l'esame abbia luogo), pur se non normativamente esplicitato, deve ritenersi implicito, ove si consideri che l'art. 500 c.p.p. null'altro disciplina se non la materia delle contestazioni in corso dell'esame dibattimentale del testimone".
D'altra parte - hanno osservato ancora i giudici di legittimità -, in riferimento a quanto già rilevato nella motivazione della Sentenza n. 39319/09 della Terza Sezione Penale, nell'ipotesi in cui l'esame dibattimentale sia possibile, le contestazioni effettuate nel corso dell'esame testimoniale rappresentano l'unico strumento processuale possibile per far rilevare la divergenza tra le dichiarazioni rese dal teste in dibattimento e quelle dallo stesso effettuate nel corso delle indagini preliminari.
Nella fattispecie in esame, invece, non ricorreva certo la prima delle condizioni menzionate dalla Corte, ipotesi alla quale si riferiva il precedente giurisprudenziale su cui la Corte d'Appello aveva fondato la propria decisione. Nel contempo, dal momento che la persona offesa non aveva reso il proprio esame testimoniale, non era stata integrata neppure la seconda di tali condizioni, non essendo stato possibile sapere se il dichiarante avrebbe o meno deposto il falso.
Sul medesimo punto, inoltre, la Corte ha rilevato sussistere una contraddittorietà motivazionale nella Sentenza impugnata: da un lato, infatti, i giudici di merito hanno valutato come irrimediabilmente inquinata la genuinità della deposizione della persona offesa a causa delle pressioni ricevute, ponendo tale circostanza a fondamento dell'asserita inutilità dell'esame dibattimentale; dall'altra, essi hanno ritenuto attendibile la stessa persona offesa in ordine alle pressioni ricevute, delle quali si è ritenuta sussistere la prova solo sulla base di quanto affermato dalla medesima, con conseguente acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali ai sensi dell'art. 500 comma 4 c.p.p.. La Corte ha infatti rilevato, in proposito, l'assenza di un'adeguata motivazione giustificativa in merito alla divergenza tra tali valutazioni.
La Suprema Corte, sulla base di tali considerazioni, ha dunque annullato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, in relazione al capo avente ad oggetto l'imputazione di rapina, la cui sussistenza era stata ritenuta provata, dai giudici di merito, sulla base delle dichiarazioni predibattimentali rese dalla persona offesa. I giudici di legittimità hanno pertanto ritenuto di riaffermare il seguente principio di diritto:
"Nel caso in cui il testimone oggetto di pressioni volte ad inquinare la genuinità delle sue dichiarazioni dibattimentali (nel caso di specie, dallo stesso denunciate) non si sottragga all'esame dibattimentale, è illegittima l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dallo stesso rese senza procedere all'esame".