sabato 23 marzo 2019

La particolare tenuità del fatto è riconoscibile nella condotta di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze psicotrope che si esaurisca nella germogliazione di un seme e non si concreti negli ulteriori, ripetuti comportamenti protratti nel tempo che danno luogo alla coltivazione.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 1766, pronunciata all'udienza del 16 ottobre 2018 (deposito motivazioni in data 16 gennaio 2019) ha preso in esame il tema dell'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. alla fattispecie di reato relativa alla coltivazione di piante idonee a produrre sostanze psicotrope ex art. 73 D.P.R. 309/90.

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Brescia aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale della medesima città per il reato di coltivazione di una pianta di marijuana ex art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90. 
La Corte d'Appello aveva rigettato la tesi difensiva consistente nell'asserita inoffensività della condotta o, quantomeno, nella non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p..

Con il proprio ricorso, l'imputato denunciava violazione di legge in relazione all'art. 131 bis c.p. e vizio di motivazione. Egli osservava come la Corte d'Appello avesse errato sia nell'escludere che lo stupefacente rinvenuto fosse destinato all'uso personale dell'imputato sia nel non riconoscere la particolare tenuità del fatto, stante la natura di comportamento necessariamente abituale che sarebbe insita nel concetto di coltivazione. In realtà, secondo il ricorrente, non vi sarebbe stata, da un lato, alcuna prova di una precedente coltivazione di piante di stupefacente; dall'altro, il concetto di abitualità rilevante ai sensi dell'art. 131 bis c.p. sarebbe da considerarsi tassativo, con conseguente rilevanza dei soli casi di delinquenza abituale, professionale o per tendenza e dell'ipotesi di reato della stessa indole di quelli già commessi in precedenza.

La Corte, dopo aver rilevato come la fattispecie di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90 rientri, sotto il profilo della cornice edittale, nel campo di applicazione dell'art. 131 bis c.p., ha ricordato come la precedente giurisprudenza di legittimità abbia riconosciuto la non incompatibilità tra la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. ed il delitto di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e psicotrope. L'applicazione dell'esimente in oggetto sarebbe infatti possibile quando "sulla base di una valutazione in concreto dei quantitativi ricavabili, delle caratteristiche della coltivazione, della destinazione del prodotto, e più in generale sulla base dei principi soggettivi ed oggettivi ricavabili dall'art. 133 c.p., la condotta illecita sia sussumibile nel paradigma della particolare tenuità dell'offesa".
Tale giurisprudenza, tuttavia, hanno osservato i giudici di legittimità, ha omesso di prendere nella dovuta considerazione, a questo proposito, la struttura del reato di coltivazione. In relazione, infatti, all'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., le stesse Sezioni Unite Tushaj del 2016 avevano posto l'attenzione, al fine di meglio comprendere il significato del concetto di condotte abituali, reiterate o plurime, su tre categorie di reati. 
In primo luogo, la Corte aveva fatto riferimento alle fattispecie che presentano l'abitualità come tratto tipico (su tutte, quella di cui all'art. 572 c.p.); in secondo luogo, i reati che presentano, nella propria tipicità, condotte reiterate, come nell'ipotesi di atti persecutori. Queste due categorie - si osservò ancora - sono accomunate dalla serialità, caratteristica idonea ad integrare quell'abitualità che il legislatore ha ritenuto tale da escludere la particolare tenuità del fatto.
Infine, con l'espressione "reati a condotta plurima" si farebbe riferimento a fattispecie "nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti; come il reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, generato dalla mancata adozione di distinte misure di prevenzione", ipotesi pertanto in cui "la pluralità e magari la protrazione dei comportamenti colposi imprime al reato un carattere seriale, id est abituale".

Sulla base di tali principi stabiliti dalle Sezioni Unite, la giurisprudenza successiva ha affermato come la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. non possa essere applicata né ai reati necessariamente abituali né a quelli solo eventualmente abituali che siano stati commessi attraverso una reiterazione della condotta tipica. Si sono così, a titolo di esempio, escluse dall'alveo dell'esimente sia la fattispecie di esercizio abusivo della professione mediante condotte reiterate nel tempo sia quella relativa al reiterato conferimento di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi in assenza del necessario titolo abilitativo e, ancora, l'ipotesi di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone ex art. 659 c.p..
La giurisprudenza ha preso altresì in esame, a tal fine, la categoria del reato permanente, sostenendo come esso, essendo caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione della condotta non sia riconducibile al concetto di comportamento abituale; nel contempo, tuttavia, dev'essere effettuata, in relazione a tale tipologia di reato "una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell'offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza".

Con riferimento, invece, alla fattispecie di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti, si è rilevato come la giurisprudenza non abbia mai effettuato particolari approfondimenti in relazione alla struttura di tale reato, essendo stato solamente affermato, trent'anni or sono, come la consumazione del reato possa essere affermata già con la germogliazione del seme impiantato, e cioè con la sua riproduzione, in qualsiasi terreno o recipiente.
I giudici della Quarta Sezione hanno dunque posto in essere, per la prima volta, tale analisi affermando al riguardo: "il concetto stesso di coltivazione richiama la messa in esecuzione di pratiche agronomiche, su piccola (coltivazione domestica) o larga scala (coltivazione in senso tecnico); e quindi una serie di atti che si compenetrano in unità sino a quando non concretino una pratica, ovvero una sequenza di atti coordinati verso il conseguimento del risultato, costituito dalla germinazione del seme e dalla crescita della pianta sino alla maturazione dei frutti". Pertanto, quand'anche si ritenga che il reato si consumi con la germogliazione, esso, indubbiamente, può constare di ulteriori "atti di cura dell'essenza vegetale", reiteranti la condotta tipica, con la conseguenza per cui tale fattispecie può essere integrata da una pluralità di condotte tutte ugualmente tipiche, le quali si ripetano nel tempo.
Sulla base di tali considerazioni, il Collegio ha dunque ritenuto erronea l'interpretazione fatta propria dalla Corte d'Appello nella fattispecie in esame, e consistente in un rapporto di incompatibilità "tipologica ed ontologica" tra il delitto in esame e la particolare tenuità del fatto, essendo invece ben possibile che le caratteristiche della condotta propria di tale reato permettano di qualificare la medesima come di particolare tenuità. Tale connotazione può ad esempio essere rinvenuta nell'ipotesi di una coltivazione che si esaurisca nella germogliazione di un seme, senza caratterizzarsi per ulteriori, ripetuti, comportamenti protratti nel tempo che danno luogo alla coltivazione. In altri termini, secondo i giudici di legittimità, ai fini dell'integrazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., è necessario che la coltivazione non si sia concretizzata in comportamenti seriali.
In riferimento alla fattispecie oggetto del giudizio, invece, la condotta di coltivazione si era protratta sino alla raccolta delle piante: la Corte ha quindi ritenuto non sussistere alcun dubbio circa la pluralità degli atti di coltivazione posti in essere dall'imputato, con la conseguenza per cui la decisione della Corte territoriale, pur essendo fondata su di erronei presupposti di diritto, è stata comunque giudicata corretta.

La Corte di Cassazione ha pertanto rigettato, sulla base di tali motivazioni, il ricorso proposto dall'imputato.