venerdì 5 luglio 2019

Diritto Penale Militare: la causa di esclusione del reato di cui all'art. 199 c.p.m.p., in relazione al reato militare di insubordinazione con minaccia o ingiuria, e il rapporto tra i reati di ingiuria militare e di oltraggio a pubblico ufficiale.

In tema di diritto penale militare, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 25353, pronunciata all'udienza del 15 gennaio 2019 (deposito motivazioni in data 7 giugno 2019), ha preso in esame le questioni relative ai criteri distintivi tra i reati militari di cui agli artt. 189 c.p.m.p. (insubordinazione con minaccia o ingiuria) e 226 c.p.m.p. (ingiuria), tra quest'ultimo ed il delitto di cui all'art. 341 bis c.p. (oltraggio a pubblico ufficiale) ed al contenuto della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 199 c.p.m.p..

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato dal Procuratore Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma avverso la Sentenza con cui il medesimo Tribunale aveva condannato un Caporale dell'Esercito Italiano, per il reato militare di insubordinazione con ingiuria continuata e aggravata ai sensi dell'art. 47 nn. 2 e 4 c.p.m.p.., alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, con concessione dei doppi benefici di legge.

All'imputato era stato contestato di aver offeso il prestigio e la dignità di due militari superiori in grado, un Brigadiere dei Carabinieri ed un Carabiniere scelto, mentre essi gli stavano contestando alcune violazioni del Codice della Strada. I militari erano infatti stati apostrofati dall'imputato con frasi quali: "Non siete buoni a fare un cazzo; fermate solo le persone senza precedenti e militari; invece di fermare gli albanesi, vorrei vedervi al lavoro con gli albanesi"; ed ancora: "Sai che c'è, fai come cazzo ti pare e piace", mentre, parlando con una terza persona e riferendosi ai militari: "lasciali stare a questi due che tanto non capiscono un cazzo". Tali fatti erano inoltre stati contestati all'imputato come commessi per cause non estranee al servizio ed alla disciplina militare.

Con il proprio motivo di ricorso, il Procuratore Militare lamentava violazione della legge penale sostanziale e processuale, chiedendo pertanto l'annullamento della sentenza.
Oggetto della doglianza del ricorrente era, in particolare, la qualificazione della condotta ai sensi dell'art. 189 c.p.m.p. (insubordinazione con minaccia o ingiuria) anziché ai sensi dell'art. 226 c.p.m.p. (ingiuria). Egli sosteneva infatti come la prima di tali norme protegga il rapporto di subordinazione, ossia un rapporto di dipendenza gerarchica e funzionale tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo della condotta. Pertanto, essa non poteva applicarsi alla fattispecie in esame: l'imputato era infatti un militare dell'Esercito, libero dal servizio, e non in posizione di dipendenza funzionale dalle due persone offese, appartenenti all'Arma dei Carabinieri, mentre la penale responsabilità per il reato di cui all'art. 189 c.p.m.p. poteva essere affermata solo nell'ipotesi in cui il comportamento tenuto dall'agente integrasse un'offesa rivolta a soggetti superiori in grado od in comando rispetto alla posizione subordinata del reo. 
Il fatto oggetto del giudizio non era inoltre pertinente a cause attinenti al servizio od alla disciplina militare, non essendo correlato all'attività od al rapporto di servizio sia del soggetto attivo sia di quello passivo della condotta.
In secondo luogo, il Procuratore Militare osservava come il fatto in questione fosse già stato giudicato dall'autorità giudiziaria ordinaria, con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 341 bis c.p; l'imputato, nell'ambito di quel procedimento, aveva posto in essere la condotta riparatoria di cui all'art. 341 bis comma 3 c.p., con conseguente estinzione del reato.
A detta del ricorrente, pertanto, il Tribunale Militare si era sostituito indebitamente all'autorità giudiziaria ordinaria, omettendo di rilevare, tra il reato militare di cui all'art. 226 c.p.m.p. ed il più grave delitto di cui all'art. 341 bis c.p., un rapporto di connessione, il quale, ai sensi dell'art. 13 c.p.p., avrebbe condotto alla declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, ossia il Tribunale Ordinario di Pistoia. Quest'ultimo avrebbe poi dovuto verificare anche la possibile applicazione del principio di specialità tra le due fattispecie.
Il ricorrente aveva quindi concluso affermando come al caso di specie avrebbe dovuto essere applicato il principio di diritto per cui la condotta ingiuriosa nei confronti di un pubblico ufficiale è punibile ai sensi dell'art. 341 bis c.p. ed è attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria. Se, invece, l'ingiuria è commessa da un militare al di fuori della propria attività di servizio, ricorre la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 226 c.p.m.p., ma non quella di cui all'art. 189 c.p.m.p., la quale si fonda sulla sussistenza di un rapporto di dipendenza funzionale tra l'agente e l'offeso, ai sensi dell'art. 199 c.p.m.p.. Quest'ultima norma, infatti, esige, anche in relazione all'art. 189 c.p.m.p., la pertinenza a ragioni sia di servizio sia di disciplina; tale pertinenza sarebbe invece da ritenersi carente in radice allorché il reo sia libero dal servizio, come avvenuto nella fattispecie in esame. In ogni caso, il ricorrente sosteneva come il reato avrebbe dovuto essere giudicato solo dal Tribunale Ordinario e non da quello militare.

La Suprema Corte ha innanzitutto premesso come il Tribunale Militare avesse escluso la sussistenza di un bis in idem con il reato di cui all'art. 341 bis c.p. sulla base dell'assunto per cui la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 189 c.p.m.p. tutela anche il rapporto gerarchico, sul rispetto del quale si fonda l'efficienza dell'intera organizzazione militare.
I Giudici militari, inoltre, con riferimento alla richiesta, avanzata da parte del P.M. in udienza, di qualificare il fatto ai sensi dell'art. 226 c.p.m.p., avevano affermato, con riguardo al disposto dell'art. 199 c.p.m.p., come non fossero emersi elementi tali da ritenere che la condotta ingiuriosa tenuta dall'imputato fosse stata posta in essere per cause estranee al servizio o alla disciplina militare. Era infatti emerso come il Caporale dell'Esercito, in presenza di militari in divisa, ne avesse offeso l'onore e la dignità a causa ed in occasione del servizio che essi stavano svolgendo, non mantenendo il contegno che le norme di disciplina militare impongono di tenere nei rapporti con i superiori.

Tanto premesso, la Corte ha quindi preso in esame la questione relativa alla ricorrenza, nel caso in esame, dei presupposti per l'applicazione dell'art. 199 c.p.m.p., il quale afferma l'inapplicabilità delle disposizioni dei Capi terzo e quarto del Titolo terzo del c.p.m.p. (Reati contro la disciplina militare), quando alcuno dei fatti da esse preveduto sia commesso per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare.
I giudici di legittimità hanno osservato come la prevalente giurisprudenza di legittimità affermi che la minaccia o l'offesa all'onore di un superiore rivolta dal militare appartenente alle Forze Armate al di fuori dell'attività di servizio attivo, e non obiettivamente correlata all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientri proprio nella menzionata clausola di esclusione di cui all'art. 199 c.p.m.p. in relazione al reato di insubordinazione, trattandosi di condotta afferente a causa estranea al servizio ed alla disciplina militare.
A questo riguardo, il Collegio ha peraltro richiamato un precedente, nell'ambito della giurisprudenza di legittimità, in cui era stato ritenuto ricompreso nello spazio di applicazione della clausola di esclusione di cui all'art. 199 c.p.m.p. il comportamento di un militare che, fuori servizio ed in abiti civili, senza qualificarsi, aveva inveito all'indirizzo di appartenenti all'Arma dei Carabinieri, i quali erano intervenuti per ragioni relative al servizio di viabilità e di circolazione stradale.

I Giudici della Prima Sezione hanno quindi dichiarato di condividere tale orientamento giurisprudenziale. Esso - si è osservato - si fonda sull'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 199 c.p.m.p.: secondo tale linea ermeneutica, la clausola di esclusione in oggetto "non opera con esclusivo riferimento alla condizione di estraneità dal servizio, in cui in concreto si trovi la persona ingiuriata o minacciata, assumendo piuttosto rilevanza l'eventuale inesistenza di una correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l'autore del fatto ed il servizio militare". Pertanto - si è aggiunto - possono essere ricondotte al concetto di cause estranee al servizio quelle che "esorbitano dall'attività svolta dal soggetto attivo del reato o che, comunque, risultino collegate in modo del tutto estrinseco all'area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice occasionalità, anche se non estranee al servizio svolto dalla persona offesa o dalle persone offese dalla condotta illecita".
In relazione all'individuazione del campo di applicazione della norma di cui all'art. 199 c.p.m.p., si è quindi ribadito come essa "abbia riguardo al solo servizio svolto dalla persona ingiuriata o minacciata, indipendentemente da ogni relazione con il servizio svolto dall'autore del fatto, di guisa che non è possibile sanzionare penalmente condotte (di minaccia e) di offesa all'onore di un superiore, causate dal servizio di pubblico ufficiale da quest'ultimo espletato, ma non collegate in alcun modo al servizio svolto dal militare soggetto attivo del reato, non essendo conforme alla ratio della norma una nozione formale e generalista di disciplina militare, invasiva di ogni momento della vita del soggetto, in servizio o fuori servizio, pur in assenza di ogni effettiva lesione del prestigio militare o di qualsiasi collegamento con i rapporti gerarchici inerenti il servizio svolto dall'autore del fatto".

Elemento fondamentale ai fini della valutazione circa la sussistenza della causa di esclusione della punibilità ex art. 199 c.p.m.p. è poi da rinvenirsi nella circostanza che il militare si sia o meno qualificato come tale nei confronti della persona offesa. Come infatti già asserito dalla giurisprudenza di legittimità, la norma non può trovare applicazione - ed il reato di insubordinazione con minaccia o ingiuria è pertanto punibile - allorché l'agente, anche se fuori servizio, commetta il fatto qualificandosi come militare nei confronti dei superiori, persone offese.

Nella fattispecie in esame, tale elemento è risultato, per i giudici di legittimità, di particolare importanza, atteso che la qualificazione, da parte dell'imputato, come militare non era stata effettuata nel momento stesso in cui egli aveva proferito le frasi offensive nei confronti delle persone offese, ma solo dopo la pronuncia delle frasi stesse e, pertanto, dopo la commissione della condotta tipica, ed a seguito dell'identificazione compiuta dal Brigadiere dei Carabinieri. Alla luce di tale circostanza - ha osservato la Corte - si deve ritenere che la condotta non possa aver avuto causa nella disciplina militare, con conseguente insussistenza del reato militare di insubordinazione di cui all'art. 189 c.p.m.p..

Infine, in relazione al rapporto tra il delitto di cui all'art. 341 bis c.p. (per il quale l'imputato era stato, come detto, sottoposto a procedimento penale da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria) ed il reato di ingiuria militare di cui all'art. 226 c.p.m.p., la Corte ha affermato che, nell'ipotesi di offesa arrecata da un militare all'onore od al prestigio di altro militare avente qualità di pubblico ufficiale, a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, ed in luogo pubblico ed alla presenza di più persone, l'art. 341 bis c.p. costituisce una norma speciale rispetto all'art. 226 c.p.m.p.. Ciò in quanto "oltre a tutti gli elementi costitutivi dell'ingiuria militare, la disposizione comune prevede ulteriori elementi specializzanti costituiti dalla qualità personale del soggetto passivo e dal nesso che deve sussistere fra azione e funzioni pubbliche, assumendo il reato comune in questo caso la forma di un'ingiuria qualificata dalla qualità di pubblico ufficiale e dagli altri elementi individuati dall'art. 341 bis c.p.".

Nel caso in esame, pertanto, i giudici di legittimità hanno osservato come la circostanza dell'avvenuta imputazione in sede ordinaria per il reato comune conduca ad escludere, in virtù dell'applicazione del principio di specialità, che si possa procedere nei confronti dello stesso agente anche per il reato militare. Qualora, al contrario, si fosse individuata un'ipotesi di concorso di reati connessi, sarebbe stata invece stabilita la giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 13 c.p.p..

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto annullato senza rinvio la sentenza del Tribunale Militare di Roma per insussistenza del fatto di insubordinazione di cui all'art. 189 c.p.m.p..