La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 22007, pronunciata all'udienza del 23 gennaio 2018 (deposito motivazioni in data 18 maggio 2018) ha preso in esame, in tema di colpa medica, la seguente questione.
Ad un ginecologo e ad un chirurgo, chiamati d'urgenza nel corso di un intervento di taglio cesareo e successiva isterectomia, intrapreso da due colleghi ginecologi e da due anestesisti, era stato contestato di avere cagionato, in cooperazione colposa, la morte della paziente; in particolare, si imputava ai sanitari:
1) di aver omesso, pur in presenza di uno shock emorragico conseguente al parto cesareo con placenta accreta (ossia patologicamente aderente all'utero), di trasfondere plasma fresco per correggere il difetto di coagulazione;
2) di aver ritardato il ricovero della donna in un ospedale dotato di reparto di rianimazione, con conseguente decesso della medesima avvenuto il giorno seguente.
I due medici, giudicati con rito abbreviato, erano stati assolti dal Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Enna; la Corte d'Appello di Caltanissetta aveva in seguito confermato tale sentenza.
I Giudici di merito avevano accertato come, in seguito al parto cesareo ed alla nascita del bambino, fosse iniziata un'emorragia massiva, manifestatasi al momento dell'effettuazione del taglio cesareo e dovuta ad una lesione vescicale, nonché alle manovre meccaniche poste in essere per il necessario distacco della placenta. Tali evenienze erano state ritenute possibili dai periti in tale contesto.
Tale emorragia era risultata fatale, non essendo stato possibile porvi rimedio né mediante la sutura della lesione vescicale né con l'isterectomia parziale né attraverso la trasfusione effettuata con l'unica sacca di plasma disponibile nella struttura sanitaria.
Come anticipato, i due imputati erano stati chiamati in ausilio dai colleghi, a fronte di una situazione già divenuta emergenziale e confusa, in quanto essi si trovavano presenti, in quel frangente, in ospedale. Essi venivano dunque coinvolti all'ultimo momento, in soccorso dei colleghi, senza aver svolto alcuna precedente attività, né diagnostica né di proposizione del trattamento, al fine di portare a termine l'intervento di isterectomia, valutato come necessario dagli altri sanitari al fine di salvare la vita alla paziente; nel corso dell'intervento, dunque, non avevano assunto la direzione del medesimo.
I Giudici di merito avevano già riconosciuto la responsabilità penale di un anestesista, membro dell'equipe fin dall'inizio dell'intervento, (il processo agli altri due ginecologi era invece ancora in corso), stante la cattiva gestione della fase emergenziale dell'emorragia.
I due sanitari sopraggiunti in seguito erano invece stati giudicati, con doppia valutazione conforme, non responsabili: le loro condotte erano infatti state ritenute irrilevanti rispetto al decorso causale, essendo stato ritenuto legittimo il loro allontanamento al termine dell'intervento di isterectomia; nel contempo, i necessari trattamenti successivi di tipo trasfusionale, altamente specialistici, erano stati giudicati non rientranti né nella sfera chirurgica né in quella ginecologica, spettando invece unicamente ai colleghi anestesisti.
I due sanitari sopraggiunti in seguito erano invece stati giudicati, con doppia valutazione conforme, non responsabili: le loro condotte erano infatti state ritenute irrilevanti rispetto al decorso causale, essendo stato ritenuto legittimo il loro allontanamento al termine dell'intervento di isterectomia; nel contempo, i necessari trattamenti successivi di tipo trasfusionale, altamente specialistici, erano stati giudicati non rientranti né nella sfera chirurgica né in quella ginecologica, spettando invece unicamente ai colleghi anestesisti.
I due imputati non avevano peraltro assunto alcuna posizione di garanzia, avendo posto in essere un intervento di mero supporto nei confronti dei colleghi che avevano in carico la paziente; inoltre non vi erano, secondo i giudici di merito, le condizioni per poter ravvisare una responsabilità d'equipe, essendosi trattato unicamente di un "assembramento estemporaneo di medici specialisti chiamati fortunosamente e d'urgenza".
Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Caltanissetta aveva tuttavia proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di conferma della pronuncia di assoluzione, lamentando la violazione degli artt. 187 e 192 c.p.p., in relazione agli artt. 113 e 589 c.p., per non aver i giudici di merito correttamente motivato in merito alla mancata osservanza, da parte dei due imputati, delle linee guida in materia di emorragia post-partum.
Il ricorrente aveva sostenuto, in particolare, che:
1) gli imputati, avendo preso parte all'intervento, avevano assunto una posizione di garanzia che imponeva loro di controllare le condotte dei colleghi, in base ai principi della giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità d'equipe;
2) il fatto che essi avessero preso parte all'intervento, peraltro in maniera decisiva, dimostrava come i due non si fossero limitati a fornire semplici consigli, ma avessero preso, in realtà, in mano le redini della situazione, sostituendosi, di fatto, ai colleghi, non in grado di gestirla;
3) sugli imputati gravava quindi un onere di collaborazione e di controllo dell'operato dei colleghi, il quale imponeva di correggere errori evidenti e non settoriali, com'erano da considerarsi quelli relativi alla gestione dell'emorragia post-partum, secondo le linee guida in materia, le quali avrebbero dovuto essere seguite, a prescindere dalle decisioni adottate dagli altri sanitari.
La Suprema Corte ha trattato il ricorso proposto dal Procuratore Generale suddividendo la propria motivazione in tre parti, ciascuna dedicata ad una questione di diritto emergente dalla fattispecie concreta.
1) L'assunzione della posizione di garanzia.
Con riferimento al tema dell'assunzione della posizione di garanzia, la Suprema Corte ha ribadito come, da giurisprudenza consolidata, la fonte da cui scaturisce l'obbligo giuridico protettivo può essere individuata nella legge, nel contratto, nella precedente attività svolta o in altra fonte obbligante; l'individuazione dello specifico contenuto dell'obbligo come scaturente da una determinata fonte dev'essere inoltre effettuata valutando sia le finalità protettive fondanti la posizione di garanzia sia la natura dei beni di cui è titolare il soggetto garantito, costituenti l'obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza di cui all'art. 40 comma 2 c.p..
2) La responsabilità d'equipe, con particolare riferimento all'ipotesi dell'intervento sanitario diacronico.
Con riguardo alla responsabilità d'equipe, i giudici di legittimità hanno innanzitutto osservato come essa possa rilevare non solo nell'ipotesi della cooperazione sincronica tra medici e/o ausiliari che operino contestualmente per la cura di un paziente (ipotesi in cui i contributi dei sanitari vengono ad integrarsi a vicenda ed in un unico contesto temporale).
Tale forma di responsabilità può infatti manifestarsi anche nell'ipotesi di cooperazione diacronica, da intendersi come costituita da atti medici successivi, anche affidati a sanitari dotati della medesima o di differenti specializzazioni. La particolarità di tale forma di cooperazione risiede nel fatto che l'unitario percorso diagnostico-terapeutico si sviluppa attraverso una serie di attività tecnico-scientifiche di competenza di sanitari diversi, funzionalmente o temporalmente successive tra di loro.
In entrambe le ipotesi di responsabilità deve comunque ritenersi applicabile il principio di affidamento, operante quale limite all'obbligo di diligenza gravante su ogni membro dell'equipe titolare della posizione di garanzia; tale principio consente infatti a ciascuno di concentrarsi sui compiti ad egli affidati e potendo confidare, nel contempo, nella professionalità degli altri colleghi della cui condotta colposa non può quindi essere chiamato a rispondere.
Con riferimento ad entrambe le forme di cooperazione, tuttavia, il principio di affidamento trova un importante limite nel fatto di non poter essere invocato dal sanitario laddove la condotta colposa del collega sia costituita dall'inosservanza delle c.d. leges artis, ossia le competenze costituenti il bagaglio professionale di ciascun medico; in tale ipotesi - si è infatti osservato - l'errore altrui risulta prevedibile e rilevabile anche da parte di un medico non specialista del settore, il quale ha quindi il dovere di controllare la correttezza dell'operato altrui.
Sulla base di tale principio, è stato inoltre affermato come, in ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, ogni sanitario sia tenuto ad osservare, oltre che il rispetto delle regole di diligenza e prudenza connesse alle specifiche mansioni svolte, anche gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine unico e comune (come nel caso di una paziente mal posizionata su di un lettino durante un intervento di mastoplastica, ove si è ritenuto che il dovere di controllo spettasse anche in capo al medico chirurgo, sebbene il posizionamento fosse di competenza, principalmente, del medico anestesista).
La Corte ha quindi approfondito la prima questione riguardante la ravvisabilità, nel caso concreto, di una posizione di garanzia in capo ai due medici imputati.
I giudici di legittimità non hanno condiviso, al riguardo, l'assunto di quelli di merito, affermando come "l'intervenire attivamente da parte di specialisti in chirurgia ed in ginecologia in sala operatoria nel corso di un'isterectomia, quand'anche la chiamata da parte dei colleghi già impegnati nell'intervento chirurgico sia, in ipotesi, effettuata al di là delle ipotesi delle turnazioni dal punto di vista amministrativo della struttura ospedaliera ed intuitu personae, in ragione della particolare fiducia riposta nei chiamati, attesi i valori tutelati (vita ed incolumità del paziente), comporti la piena assunzione di posizione di garanzia di equipe".
La Corte ha quindi ritenuto erronee le affermazioni dei giudici di merito relative all'insussistenza, in capo agli imputati, della qualifica di gestori del rischio ed alla assenza di formazione di una vera e propria equipe medica.
I giudici di legittimità hanno a questo punto preso in esame la questione relativa alla responsabilità dei sanitari in caso di cooperazione diacronica, osservando, innanzitutto, come, anche in quest'ipotesi, si ponga il problema relativo alla delimitazione delle diverse sfere di competenza e responsabilità dei vari operatori sanitari che si trovino ad interagire. Come anticipato, in questa fattispecie, i diversi apporti professionali si susseguono nel tempo in fasi separate, pur con l'unica finalità relativa alla cura della salute del paziente; vi è quindi una successione nella posizione di garanzia: due o più garanti si succedono in tempi e modi diversi nella protezione o nel controllo di un bene giuridico.
Stante questa successione nelle posizioni di garanzia, diviene quindi fondamentale evitare vuoti di tutela nell'avvicendamento tra un garante e l'altro: è quindi necessario un passaggio di consegne efficiente ed informato, in modo che il garante successivo possa trovarsi nelle condizioni di intervenire. Tale condizione viene ad assumere una fondamentale rilevanza, in quanto - ha osservato la Corte - solo in caso di corretto adempimento a tale obbligo di informazione il garante originario potrà invocare a propria discolpa il principio di affidamento. Viceversa, egli non sarà certo esente da colpa qualora abbia omesso di attivarsi, anche mediante la dovuta collaborazione con i colleghi che prendono successivamente in carico il paziente, per la soluzione dei problemi che mettono a rischio la vita del paziente, per il solo motivo di trovarsi alla fine del proprio turno di lavoro.
Da tali premesse la Corte ha tratto il principio di diritto per cui "ove l'affidante ponga in essere una condotta causalmente rilevante, la condotta colposa dell'affidato, anch'essa con efficacia causale nella determinazione dell'evento, non vale ad escludere la responsabilità del primo in base al principio dell'equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta che deve escludersi nel caso di comportamento colposo che abbia creato i presupposti per il verificarsi dell'evento dannoso e sul quale non siano intervenute modifiche rilevanti per eliminare le situazioni di pericolo che questo comportamento aveva creato o esaltato".
Corollario di tale principio è quindi quello per cui, relativamente alla responsabilità d'equipe, "in forza del fine unitario che caratterizza gli apporti professionali che si susseguono nel procedimento terapeutico, l'equipe medica, sia essa operante sincronicamente o diacronicamente, è da considerare come un'entità unica e compatta e non come una collettività di professionisti in cui ciascuno è tenuto a svolgere il proprio ruolo, salvo intervenire se percepisca l'errore altrui. Ad ogni membro dell'equipe è pertanto imposto un dovere ulteriore: la verifica che il proprio apporto professionale e l'apporto altrui, sia esso precedente o contestuale, si armonizzino in vista dell'obiettivo comune".
Quanto alla responsabilità per l'errore altrui, i giudici di legittimità hanno dapprima osservato come, qualora ad esso non si sia posto rimedio o cercato di porvi rimedio, ciò determini sempre un addebito di colpa, essendo l'evento prevedibile ed evitabile.
Tuttavia, le condizioni necessarie affinché l'errore altrui possa essere addebitato ad un sanitario, sono, alternativamente, che esso rientri nel bagaglio di conoscenze di qualsivoglia sanitario medio o nello specifico settore in cui egli è specializzato.
Viceversa, riconoscere la colpevolezza del sanitario in assenza di una di queste due condizioni determinerebbe una palese violazione del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale: si tratterebbe, infatti, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva, basata esclusivamente sulla posizione soggettiva del sanitario e sul solo fatto che egli ha partecipato all'intervento e/o alla prestazione sanitaria.
Pertanto, in virtù della posizione di garanzia che il sanitario assume nei confronti del paziente, ogni membro dell'equipe è chiamato, oltre che al rispetto delle leges artis relative al settore di competenza, al rispetto, altresì, di una regola cautelare più ampia, la quale ha ad oggetto un particolare onere di cautela e di controllo sulle modalità di effettuazione dell'intervento, anche relativamente all'attività precedente e/o coeva svolta da altro collega, pur nell'ipotesi in cui questa non rientri nella sua diretta competenza.
Lo stesso, naturalmente, non vale nell'ipotesi di errore commesso da altro operatore in un settore estremamente specialistico: in tal caso, infatti, l'omissione di intervento non può in alcun modo determinare un addebito di colpa, né generica né specifica, in capo al soggetto privo di specifica competenza professionale in uno specifico settore, a fronte di un errore altrui di cui egli non può (né deve) essersi accorto, potendo legittimamente affidarsi sulla capacità professionale del collega.
Il terzo tema affrontato dalla Suprema Corte nella pronuncia in oggetto è stato quello relativo allo scioglimento dell'equipe, derivato da quello più generale attinente alla durata della posizione di garanzia.
Nell'ambito della responsabilità medica - hanno osservato i giudici di legittimità - questo tema trova una sua particolare manifestazione nell'individuazione della regola di condotta del sanitario dopo l'effettuazione della propria prestazione.
Esso fu in particolar modo affrontato dalla Sentenza Malinconico n. 22579/05 pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte. In essa si enunciarono le condizioni in presenza delle quali lo scioglimento anticipato dell'equipe chirurgica (da intendersi come l'allontanamento di uno dei componenti della stessa) possa considerarsi legittimo, con conseguente esenzione da responsabilità colposa per il sanitario allontanatosi, e quindi non presente, nel momento in cui è stata omessa la dovuta prestazione professionale o è stato eseguito un intervento maldestro, con effetti dannosi per il paziente.
Tali condizioni furono individuate in un allontanamento dovuto a cause giustificate da:
1) la semplicità delle residue attività da compiere, e/o
2) l'impellente necessità del componente allontanatosi di prestare la propria opera professionale per la cura indilazionabile di altro o di altri pazienti.
La Quarta Sezione enunciò pertanto, nella Sentenza Malinconico, il seguente principio di diritto: "La circostanza dello scioglimento dell'equipe operatoria, che abbia a verificarsi quando ancora l'intervento deve essere completato da adempimenti di particolare semplicità, esclude l'elemento della colpa per negligenza in capo al medico che ha abbandonato anticipatamente l'equipe, sempre che non si tratti di intervento operatorio ad alto rischio e l'allontanamento sia giustificato da pressanti ed urgenti necessità professionali".
Il terzo tema affrontato dalla Suprema Corte nella pronuncia in oggetto è stato quello relativo allo scioglimento dell'equipe, derivato da quello più generale attinente alla durata della posizione di garanzia.
Nell'ambito della responsabilità medica - hanno osservato i giudici di legittimità - questo tema trova una sua particolare manifestazione nell'individuazione della regola di condotta del sanitario dopo l'effettuazione della propria prestazione.
Esso fu in particolar modo affrontato dalla Sentenza Malinconico n. 22579/05 pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte. In essa si enunciarono le condizioni in presenza delle quali lo scioglimento anticipato dell'equipe chirurgica (da intendersi come l'allontanamento di uno dei componenti della stessa) possa considerarsi legittimo, con conseguente esenzione da responsabilità colposa per il sanitario allontanatosi, e quindi non presente, nel momento in cui è stata omessa la dovuta prestazione professionale o è stato eseguito un intervento maldestro, con effetti dannosi per il paziente.
Tali condizioni furono individuate in un allontanamento dovuto a cause giustificate da:
1) la semplicità delle residue attività da compiere, e/o
2) l'impellente necessità del componente allontanatosi di prestare la propria opera professionale per la cura indilazionabile di altro o di altri pazienti.
La Quarta Sezione enunciò pertanto, nella Sentenza Malinconico, il seguente principio di diritto: "La circostanza dello scioglimento dell'equipe operatoria, che abbia a verificarsi quando ancora l'intervento deve essere completato da adempimenti di particolare semplicità, esclude l'elemento della colpa per negligenza in capo al medico che ha abbandonato anticipatamente l'equipe, sempre che non si tratti di intervento operatorio ad alto rischio e l'allontanamento sia giustificato da pressanti ed urgenti necessità professionali".
Atteso quanto affermato dalla Sentenza Malinconico, risulta quindi di fondamentale importanza per il giudice esaminare le circostanze del caso concreto che hanno determinato l'allontanamento del sanitario. Esse, infatti, potrebbero certamente non escludere la colpa in capo a quest'ultimo, qualora l'allontanamento sia intervenuto, ad esempio, nell'ambito di un intervento ad alto rischio ed in assenza di idonee giustificazioni: ciò - hanno evidenziato i giudici di legittimità - farebbe infatti venir meno quel contributo di conoscenze professionali che possono salvaguardare l'incolumità del paziente in presenza di un errore altrui.
Viceversa, l'allontanamento del sanitario potrà essere considerato legittimo se avvenuto in una fase in cui l'intervento, anche se non concluso, debba solo essere definito con adempimenti di assoluta semplicità, quali, ad esempio, la conta delle garze e dei ferri da rimuovere o già rimossi o la sutura della ferita a conclusione di un'operazione chirurgica che sia perfettamente riuscita; ciò, tuttavia, in presenza della predetta condizione per cui l'allontanamento sia giustificato da altre e più pressanti ed urgenti attività mediche. In tale fattispecie, potranno dunque essere esclusi profili di colpa e la sussistenza di un contributo causale rispetto all'evento lesivo, verificatosi per colpa, esclusiva, di altri medici.
Ciò posto, la Suprema Corte ha ribadito come sul sanitario gravi, comunque, un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria, sebbene l'intervento possa ritenersi concluso con l'uscita del paziente dalla sala operatoria.
Tale assunto fu enunciato dalla Sentenza Zuccarello n. 12275/05 pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, in cui si affermò: "La posizione di garanzia dell'equipe chirurgica nei confronti del paziente non si esaurisce con l'intervento, ma riguarda anche la fase postoperatoria, gravando sui sanitari un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato; ne consegue che dalla violazione di tale obbligo, fondato anche sul contratto d'opera professionale, può discendere la responsabilità penale dei medici qualora l'evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 comma 2 c.p.".
Pertanto - ha aggiunto il Collegio - dopo l'intervento, il sanitario non può tout court disinteressarsi del paziente, ma è invece tenuto a controllare il decorso operatorio, quantomeno affidando il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti, in grado di affrontare eventuali complicanze, più o meno prevedibili.
E' dunque entro questi limiti - si è affermato - che dev'essere inteso il c.d. principio dello scioglimento dell'equipe: esso non può quindi comportare, per il sanitario che ha eseguito l'intervento, "un'automatica legittimazione a disinteressarsi del paziente"; al contrario, l'obbligo di garanzia persiste anche in seguito allo scioglimento dell'equipe, imponendo, quantomeno, l'affidamento legittimo, consapevole ed informato del paziente ad altri sanitari, che siano in grado di seguire il decorso post-operatorio.
A titolo di esempio, i giudici di legittimità hanno quindi richiamato una fattispecie, oggetto della sentenza Dilonardo n. 939/05 emessa dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, in cui venne considerata colposa la condotta di un sanitario a capo di un'equipe operatoria, il quale, contravvenendo agli obblighi conseguenti alla posizione di garanzia assunta nei confronti del paziente, dopo l'effettuazione di un delicato intervento chirurgico, nel trasferire la sua posizione di garanzia all'unico medico di guardia che aveva sotto il proprio controllo il reparto di terapia intensiva ove il paziente veniva ricoverato, non aveva curato di fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e dei controlli dei parametri vitali del paziente appena operato e non si era neppure preoccupato di seguire direttamente - neppure per interposta persona - il decorso post-operatorio.
In riferimento alla fattispecie oggetto di giudizio, la Corte ha quindi riscontrato come le affermazioni giurisprudenziali relative a tali temi non siano state adeguatamente considerate dai giudici di merito, i quali avevano erroneamente escluso la posizione di garanzia in capo agli imputati e non si erano interrogati se le attività doverose omesse potessero essere pretese o meno da qualsiasi medico, anche se non specializzato in anestesia o rianimazione. Sul punto, peraltro, già i consulenti del P.M. avevano evidenziato come l'osservanza da parte dei due sanitari delle linee guida in materia di emorragia post-partum fosse in realtà esigibile da entrambi, in qualità di chirurgo e di ginecologo.
La Corte ha così ribadito come resti fermo in tema di responsabilità d'equipe il principio per cui "ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio"; tale assunto, tuttavia, non opera "in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui".
La valutazione della responsabilità penale nell'ambito dell'equipe medica, inoltre, non può essere valutata attraverso la generica attribuzione di un errore all'equipe nel suo complesso. In questo senso si pronunciò la Sentenza Puglisi n. 27314/17, pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, nella quale si affermò: "la responsabilità penale di ciascun componente di un'equipe medica non può essere affermata sulla base dell'accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito all'equipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, nella prospettiva di verifica, in concreto, dei limiti oltre che del suo operato, anche di quello degli altri. Occorre cioè accertare se e a quali condizioni ciascuno dei componenti dell'equipe, oltre ad essere tenuto per la propria parte al rispetto delle regole di cautela e delle leges artis previste con riferimento alle sue specifiche mansioni, debba essere tenuto anche a farsi carico delle manchevolezze dell'altro componente dell'equipe o possa viceversa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti altrui: accertamento che deve essere compiuto tenendo conto del principio secondo cui ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio".
Resta comunque inteso, come detto, che tale principio debba essere coniugato con quello di affidamento, così da evitare il delinearsi di forme di responsabilità oggettiva. Pertanto, hanno evidenziato i giudici di legittimità, "ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, ma potrà sempre fare affidamento, appunto, sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell'osservanza delle regole di diligenza proprie".
Sulla base di tali motivazioni, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha pertanto annullato la sentenza di assoluzione dei due imputati, con rinvio alla Corte d'Appello di Caltanissetta, imponendo ai giudici di merito, sul presupposto dell'effettiva assunzione di posizione di garanzia da parte dei due sanitari, di approfondire nuovamente la vicenda, applicando i principi di diritto enunciati con riguardo alla responsabilità medica d'equipe ed allo scioglimento della medesima, al fine di verificare la legittimità di quest'ultimo nella fattispecie in esame.
Viceversa, l'allontanamento del sanitario potrà essere considerato legittimo se avvenuto in una fase in cui l'intervento, anche se non concluso, debba solo essere definito con adempimenti di assoluta semplicità, quali, ad esempio, la conta delle garze e dei ferri da rimuovere o già rimossi o la sutura della ferita a conclusione di un'operazione chirurgica che sia perfettamente riuscita; ciò, tuttavia, in presenza della predetta condizione per cui l'allontanamento sia giustificato da altre e più pressanti ed urgenti attività mediche. In tale fattispecie, potranno dunque essere esclusi profili di colpa e la sussistenza di un contributo causale rispetto all'evento lesivo, verificatosi per colpa, esclusiva, di altri medici.
Ciò posto, la Suprema Corte ha ribadito come sul sanitario gravi, comunque, un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria, sebbene l'intervento possa ritenersi concluso con l'uscita del paziente dalla sala operatoria.
Tale assunto fu enunciato dalla Sentenza Zuccarello n. 12275/05 pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, in cui si affermò: "La posizione di garanzia dell'equipe chirurgica nei confronti del paziente non si esaurisce con l'intervento, ma riguarda anche la fase postoperatoria, gravando sui sanitari un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato; ne consegue che dalla violazione di tale obbligo, fondato anche sul contratto d'opera professionale, può discendere la responsabilità penale dei medici qualora l'evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 comma 2 c.p.".
Pertanto - ha aggiunto il Collegio - dopo l'intervento, il sanitario non può tout court disinteressarsi del paziente, ma è invece tenuto a controllare il decorso operatorio, quantomeno affidando il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti, in grado di affrontare eventuali complicanze, più o meno prevedibili.
E' dunque entro questi limiti - si è affermato - che dev'essere inteso il c.d. principio dello scioglimento dell'equipe: esso non può quindi comportare, per il sanitario che ha eseguito l'intervento, "un'automatica legittimazione a disinteressarsi del paziente"; al contrario, l'obbligo di garanzia persiste anche in seguito allo scioglimento dell'equipe, imponendo, quantomeno, l'affidamento legittimo, consapevole ed informato del paziente ad altri sanitari, che siano in grado di seguire il decorso post-operatorio.
A titolo di esempio, i giudici di legittimità hanno quindi richiamato una fattispecie, oggetto della sentenza Dilonardo n. 939/05 emessa dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, in cui venne considerata colposa la condotta di un sanitario a capo di un'equipe operatoria, il quale, contravvenendo agli obblighi conseguenti alla posizione di garanzia assunta nei confronti del paziente, dopo l'effettuazione di un delicato intervento chirurgico, nel trasferire la sua posizione di garanzia all'unico medico di guardia che aveva sotto il proprio controllo il reparto di terapia intensiva ove il paziente veniva ricoverato, non aveva curato di fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e dei controlli dei parametri vitali del paziente appena operato e non si era neppure preoccupato di seguire direttamente - neppure per interposta persona - il decorso post-operatorio.
In riferimento alla fattispecie oggetto di giudizio, la Corte ha quindi riscontrato come le affermazioni giurisprudenziali relative a tali temi non siano state adeguatamente considerate dai giudici di merito, i quali avevano erroneamente escluso la posizione di garanzia in capo agli imputati e non si erano interrogati se le attività doverose omesse potessero essere pretese o meno da qualsiasi medico, anche se non specializzato in anestesia o rianimazione. Sul punto, peraltro, già i consulenti del P.M. avevano evidenziato come l'osservanza da parte dei due sanitari delle linee guida in materia di emorragia post-partum fosse in realtà esigibile da entrambi, in qualità di chirurgo e di ginecologo.
La Corte ha così ribadito come resti fermo in tema di responsabilità d'equipe il principio per cui "ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio"; tale assunto, tuttavia, non opera "in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui".
La valutazione della responsabilità penale nell'ambito dell'equipe medica, inoltre, non può essere valutata attraverso la generica attribuzione di un errore all'equipe nel suo complesso. In questo senso si pronunciò la Sentenza Puglisi n. 27314/17, pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, nella quale si affermò: "la responsabilità penale di ciascun componente di un'equipe medica non può essere affermata sulla base dell'accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito all'equipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, nella prospettiva di verifica, in concreto, dei limiti oltre che del suo operato, anche di quello degli altri. Occorre cioè accertare se e a quali condizioni ciascuno dei componenti dell'equipe, oltre ad essere tenuto per la propria parte al rispetto delle regole di cautela e delle leges artis previste con riferimento alle sue specifiche mansioni, debba essere tenuto anche a farsi carico delle manchevolezze dell'altro componente dell'equipe o possa viceversa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti altrui: accertamento che deve essere compiuto tenendo conto del principio secondo cui ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio".
Resta comunque inteso, come detto, che tale principio debba essere coniugato con quello di affidamento, così da evitare il delinearsi di forme di responsabilità oggettiva. Pertanto, hanno evidenziato i giudici di legittimità, "ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, ma potrà sempre fare affidamento, appunto, sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell'osservanza delle regole di diligenza proprie".
Sulla base di tali motivazioni, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha pertanto annullato la sentenza di assoluzione dei due imputati, con rinvio alla Corte d'Appello di Caltanissetta, imponendo ai giudici di merito, sul presupposto dell'effettiva assunzione di posizione di garanzia da parte dei due sanitari, di approfondire nuovamente la vicenda, applicando i principi di diritto enunciati con riguardo alla responsabilità medica d'equipe ed allo scioglimento della medesima, al fine di verificare la legittimità di quest'ultimo nella fattispecie in esame.