martedì 10 settembre 2019

590 sexies c.p. e mancanza di linee guida definite e pubblicate ai sensi di legge. Il rapporto tra esse e le buone pratiche clinico assistenziali.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 28102, pronunciata all'udienza del 21 marzo 2019 (deposito motivazioni in data 27 giugno 2019), ha preso in esame, in tema di responsabilità medica, la questione relativa al rapporto tra linee guida e buone pratiche clinico assistenziali, in relazione all'applicabilità della causa di non punibilità della condotta dell'esercente la professione sanitaria, ex art. 590 sexies c.p..

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso proposto da un imputato, medico dentista, avverso la Sentenza con cui la Corte d'Appello di Venezia aveva confermato la condanna pronunciata nei suoi confronti per il delitto di cui all'art. 590 c.p.. Al sanitario era stato contestato di aver eseguito un intervento di estrazione di un elemento dentario omettendo ulteriori approfondimenti radiografici finalizzati ad una più accurata definizione dell'anatomia del sito operatorio; una precedente ortopantomografia, infatti, aveva evidenziato "stretti rapporti di contiguità tra l'apparato radicolare del dente e le strutture del canale mandibolare": il medico aveva così proceduto - secondo l'accusa avanzata nei suoi confronti - ad una "immotivata ed estesa demolizione del tessuto osseo coricale linguale e vestibolare, interessando in profondità il canale mandibolare, struttura che alloga il nervo alveolare inferiore, per demolizione di parte del tetto osseo del canale", ed aveva pertanto cagionato alla propria paziente una lesione irreversibile del nervo linguale.

Mediante uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato si doleva del mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 590 sexies c.p.: quand'anche, infatti, la sua condotta fosse stata giudicata come colposa, tale colpa avrebbe dovuto, nondimeno, essere qualificata come lieve, con conseguente pronuncia liberatoria nei suoi confronti. A questo proposito, il medico aveva osservato, nell'atto di impugnazione, di aver avuto la paziente in cura per circa dieci anni senza alcun problema, di aver visionato due ortopantomografie prima di effettuare l'intervento e come non fosse stato dimostrata nel giudizio di merito la necessità di non procedere alla demolizione del dente incluso nel tessuto osseo.

Con un altro motivo di ricorso, egli deduceva invece la tardività della querela, presentata dalla persona offesa quando ella era già a conoscenza, da epoca assai risalente, delle lesioni subite e del nesso di causalità tra queste ultime e l'operato del dentista, e dopo essersi sottoposta a visita specialistica al solo fine di stabilire la gravità delle lesioni riportate.

La Corte - nell'individuare nell'art. 3 D.L. 158/12 (Legge Balduzzi) la norma più favorevole all'imputato (i fatti risalivano all'anno 2011), secondo il noto insegnamento delle Sezioni Unite Mariotti - si è, come anticipato, soffermata, per quanto qui di interesse, sul tema relativo al rapporto tra linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali di cui all'art. 590 sexies c.p..
I giudici di legittimità hanno, al riguardo, affermato come il tenore testuale di tale norma risulti del tutto inequivoco nel subordinare l'operatività della disposizione all'emanazione di linee guida "come definite e pubblicate ai sensi di legge", con ciò richiamando lo specifico iter di elaborazione ed emanazione delle medesime di cui all'art. 5 l. 24/17.
Il Collegio si è poi interrogato circa l'applicabilità della norma di cui all'art. 590 sexies c.p. nell'ipotesi di mancanza di linee-guida approvate ed emanate mediante il predetto procedimento di cui all'art. 5; a tal riguardo, si è osservato come, in tale fattispecie, non si possa "far riferimento all'art. 590 sexies c.p., se non nella parte in cui questa norma richiama le buone pratiche clinico assistenziali, rimanendo, naturalmente, ferma la possibilità di trarre utili indicazioni di carattere ermeneutico dall'art. 590 sexies c.p., che, a regime, quando verranno emanate le linee guida con il procedimento di cui all'art. 5, costituirà il fulcro dell'architettura normativa e concettuale in tema di responsabilità penale del medico".

La Corte non ha dunque escluso a priori la possibilità di riservare uno spazio applicativo all'art. 590 sexies c.p., anche nell'ipotesi di linee guida le quali, pur di fatto vigenti, non siano state approvate mediante lo speciale procedimento di cui all'art. 5 l. 24/17. Esse possono infatti essere considerate, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità, quali buone pratiche clinico-assistenziali. 
Tale ipotesi, nondimeno, è da considerarsi "un'opzione ermeneutica non agevole", atteso che le linee guida differiscono notevolmente, sotto il profilo concettuale nonché tecnico-operativo, dalle buone pratiche clinico assistenziali. Le prime, infatti, si sostanziano in "raccomandazioni di comportamento clinico, sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quale sia il percorso diagnostico-terapeutico più appropriato in specifiche circostanze cliniche". Esse consistono pertanto "nell'indicazione di standards diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza ed esperienza medica, a garanzia della salute del paziente, e costituiscono il condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi". Stanti tali caratteristiche, quindi, le linee-guida sono da considerarsi molto diverse dalle buone pratiche clinico-assistenziali: la tesi della possibile equiparazione delle une alle altre, per quanto non impossibile da formulare, è tuttavia da considerarsi - secondo la Corte - come "non esente da profili di problematicità", con le conseguenti difficoltà applicative della disposizione di cui all'art. 590 sexies c.p.. Già le stesse Sezioni Unite Mariotti, d'altra parte, con riguardo a tale distinzione, hanno affermato come le buone pratiche clinico assistenziali "assumano oggi rilievo solo sussidiario per il minor grado di ponderazione scientifica che presuppongono, pur rimanendo comunque da individuare in modelli comportamentali consolidati oltre che accreditati dalla comunità scientifica".

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato come la questione relativa alla gravità della colpa ed alla conseguente applicabilità della causa di non punibilità sia stata del tutto estranea nel tessuto motivazionale della sentenza della Corte d'Appello, sebbene fosse già stata dedotta con i motivi di gravame, con conseguente vizio di mancanza di motivazione. 
La Corte ha poi specificato quale debba essere la necessaria struttura del percorso motivazionale del giudice di merito sul punto. Egli deve stabilire:

1) se l'atto medico sub-iudice costituisse, all'epoca in cui fu posta in essere la condotta, oggetto di linee-guida;

2) cosa queste ultime prescrivessero;

3) in mancanza, se vi fossero, al riguardo, buone pratiche clinico-assistenziali;

4) se l'imputato si sia determinato sulla base di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso concreto;

5) nell'affermativa, se l'imputato si sia attenuto ad esse o meno;

6) se sia configurabile, nel suo operato, una colpa;

7) se quest'ultima sia da considerarsi lieve o grave.

In relazione al profilo della colpa, inoltre, al fine di distinguere la colpa lieve dalla colpa grave, devono essere utilizzati i seguenti parametri:

1) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi;

2) la misura del rimprovero personale, sulla base delle specifiche condizioni dell'agente;

3) la motivazione della condotta;

4) la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa.


In relazione, invece, al motivo di ricorso relativo all'asserita tardività della querela, i giudici di legittimità hanno colto l'occasione per ribadire come il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da responsabilità del sanitario decorra "non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui il soggetto passivo sia venuto a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari".
Nel caso oggetto di giudizio, la Corte ha rilevato come dagli atti sia emerso che la persona offesa si sia resa conto della correlabilità delle lesioni subite all'intervento odontoiatrico effettuato dall'imputato soltanto dopo essersi sottoposta ad accertamento specialistico odontostomatologico-medico-legale, e dopo essere venuta in possesso del relativo elaborato peritale. La tesi, affermata dall'imputato, di una conoscenza, da parte della persona offesa, di tale correlazione in epoca precedente è stata giudicata dalla Corte come meramente apodittica e non corroborata con argomentazioni di adeguato spessore logico e fattuale. 
Il Collegio ha inoltre ricordato, al riguardo, come un'eventuale situazione di incertezza debba essere comunque sempre considerata in favore del querelante (c.d. principio del "favor querelae"), dovendosi ritenere tempestiva la proposizione della condizione di procedibilità: il decorso del termine di cui all'art. 124 c.p. importa infatti decadenza, e le decadenze "vanno accertate secondo criteri rigorosi, non potendo ritenersi intervenute in base a semplici supposizioni, prive di adeguato supporto probatorio". La Corte ha quindi giudicato infondato tale motivo di ricorso.

Stante, tuttavia, l'accoglimento della doglianza in precedenza esposta, la sentenza impugnata è stata annullata, con conseguente rinvio, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Venezia.