La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 31757, pronunciata all'udienza del 17 maggio 2023 (deposito motivazioni in data 20 luglio 2023), ha affrontato la questione relativa all'ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione al reato di furto in abitazione e furto con strappo di cui all'art. 624 bis c.p..
Il fatto.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza proponeva ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il locale Tribunale aveva disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova nei confronti di un soggetto imputato del delitto di cui all'art. 624-bis c.p..
Tramite il proprio ricorso, il Procuratore lamentava come l' istituto della messa alla prova non fosse applicabile nel caso di specie, atteso che, a seguito della riforma apportata dalla L. n. 103 del 2017, dell'aggravamento sanzionatorio operato, in relazione alla fattispecie di reato di furto in abitazione, dalla L. n. 36 del 2019 e, infine, a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 150 del 2022, il delitto medesimo non poteva ritenersi incluso tra quelli per i quali si procede con citazione diretta, ai sensi dell'art. 550 c.p.p..
La decisione.
I giudici di legittimità hanno, in primo luogo, rilevato come, in merito alla questione prospettata, si registri l'orientamento espresso dalla stessa Quinta Sezione Penale, con la Sentenza Verdicchio, n. 43958 del 12 maggio 2017, a mente del quale la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 624-bis c.p. rientra nel novero dei reati per i quali è ammessa l'operatività dell' istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, atteso che esso è applicabile ai reati per i quali si procede con citazione diretta. Tale orientamento ha, più di recente, trovato conferma, ancora in seno alla Quinta Sezione, tramite la Sentenza D'Orazio, n. 37251 del 16 giugno 2022.
La Corte ha quindi osservato come l'incremento sanzionatorio operato, in relazione all'art. 624 bis c.p., dall'art. 5 comma 1 lett. a della L. n. 36 del 2019, non conduca, anche con riguardo all' ipotesi aggravata di cui al comma 3, ad una pena detentiva massima superiore a quella prevista dall'ultimo comma dell'art. 625 c.p., ossia dieci anni di reclusione.
Ciò posto, si è rilevato, sulla scia di quanto affermato dalla Sentenza Nastasi n. 1792 della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, come la selezione dei reati operata dal comma 2 dell'art. 550 c.p.p. tragga origine non tanto da una minore gravità degli stessi, stante la varietà dei livelli sanzionatori corrispondenti alle diverse fattispecie e l'apice dei medesimi raggiunto con l' inclusione, in tale norma, del delitto di cui agli artt. 624 e 625 c.p., ma da valutazioni di tipo economicistico e di funzionalità organizzativa: tali esigenze sono infatti ritenute esposte al pericolo di compromissione, in caso di adozione generalizzata del procedimento previsto per i reati attribuiti al Tribunale in composizione collegiale. Sul punto, hanno infatti osservato i giudici di legittimità che: "non sembra agevolmente superabile l'obiezione secondo la quale non è possibile stabilire alcun rapporto di proporzionalità diretta tra entità della pena e complessità dell'accertamento del reato. Ne consegue che una ricostruzione che aspiri ad un minimo di realismo non può escludere che l'assenza di un preventivo vaglio giudiziale sull'esercizio dell'azione penale sia motivata dalla volontà di limitare l'utilizzo delle risorse, da ottimizzare a favore di reati che il legislatore ha ritenuto meritevoli di un più meditato accesso al dibattimento".
Da tali considerazioni deriva, pertanto, come limitate variazioni della pena non possano incidere su tali valutazioni, le quali si fondano sull'identità tipologica del reato, nel caso di specie inteso come furto, indicato dall'art. 550 c.p.p. nel genus tramite il richiamo all'art. 625 c.p.. Tale identità, si è osservato, è frutto non solo di profili tecnici, ma anche di aspetti sociali o criminologici ritenuti meritevoli di considerazione da parte del legislatore.
Le considerazioni sistematiche tratte dal Procuratore, sulla base del mancato inserimento del delitto in discorso tra quelli per i quali si procede con citazione diretta, nonostante il criterio di delega previsto dalla L. n. 134 del 2021, non sono state, pertanto, condivise dalla Corte. L'art. 1 comma 22 lett. a) L. n. 134 del 2021 ha, infatti, attribuito al legislatore delegato il potere di estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell' imputato, oltre ai casi previsti dall'art. 550, comma 2 c.p.p., anche ad ulteriori, specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, i quali si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto.
Tale previsione, si è rilevato, fa espressamente salve le ipotesi previste dall'art. 550, comma 2 del codice di procedura penale, tra le quali, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, rientra il reato previsto dall'art. 624-bis c.p..
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso.