sabato 19 agosto 2023

Irrevocabilità della querela per il reato di stalking: non è necessario che la gravità delle minacce sia oggetto di specifica contestazione.

 La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 34412, pronunciata all'udienza dell'11 maggio 2023 (deposito motivazioni in data 4 agosto 2023) ha preso in esame la questione se, ai fini dell'irrevocabilità della querela per il reato di atti persecutori, la gravità delle minacce reiterate - prevista dal combinato disposto degli artt. 612 bis comma 4 e 612 comma 2 c.p. quale possibile presupposto di tale irrevocabilità - debba essere oggetto di specifica contestazione.

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Napoli ne aveva confermato la penale responsabilità in relazione ai reati di atti persecutori, lesioni aggravate e minaccia. Tramite le proprie doglianze, la difesa dell'imputato deduceva l'avvenuta estinzione del reato per remissione di querela.

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La Corte di Cassazione ha in primis osservato come, secondo la giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell'art. 612 bis comma 4 u.p. c.p., è irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi. La norma prevede, infatti, due condizioni, che, se realizzate entrambe, impediscono la revocabilità della querela già presentata dalla persona offesa dal reato: la reiterazione delle minacce e l'espressione di esse nei modi di cui all'art. 612 comma 2 c.p..

Tale regime di irrevocabilità della querela - si è rilevato - fu introdotto dal legislatore con il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. in L. n. 119 del 2013, al fine di adeguare ancor più l'ordinamento interno ai principi della Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne, sottraendo, anche per motivi di opportunità, la disponibilità della procedibilità del reato alla volontà e libertà assolute della vittima, con specifico riguardo alle ipotesi caratterizzate da particolare incidenza intimidatoria della condotta, come nel caso, appunto, di minacce gravi.

L'irrevocabilità della querela, prevista in relazione a tali ipotesi di maggior disvalore della condotta intimidatoria, reiterata e grave, risponde, inoltre, ad una logica di tutela peculiare e rafforzata della vittima del reato di stalking, la quale potrebbe essere coartata, nella sua scelta di recedere dal proposito di perseguire l'autore del reato, proprio dallo stato di coazione psicologica e di prostrazione morale e fisica conseguente alla condotta persecutoria; per tale ragione, si è ritenuto inopportuno, in tale fattispecie, affidare alla sola sua opzione libera e volontaria la perseguibilità del reato. 

I giudici di legittimità hanno quindi posto in evidenza come, da un punto di vista generale e sistematico, non si possa ritenere  un'irragionevole asimmetria la differenziazione, attualmente presente all'interno dell'impianto codicistico, tra l'irrevocabilità della querela prevista per lo stalking che si realizzi mediante minacce reiterate e gravi e la regola normativa, attualmente vigente, dell'ordinaria procedibilità a querela della minaccia, anche "grave", salvo che sia stata commessa in uno dei modi previsti dall'art. 339 c.p., oppure sia grave e ricorrano anche le condizioni consistenti o nel ricorrere di circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva o nello stato di incapacità per età o infermità della persona offesa  (come previsto dall'art. 612 comma 4 c.p., a seguito della riforma Cartabia). Ciò, in quanto appare evidente la distanza tra le due ipotesi di reato, con conseguente giustificabilità del carattere meno rigido del regime di perseguibilità in relazione a minacce, sia pur gravi, che, atomisticamente considerate, non sono caratterizzate da quell'ulteriore disvalore espresso dal legislatore tramite l'irrevocabilità della condizione di procedibilità, per le ipotesi di atti persecutori più gravi e, come detto, più esposte al rischio di interferenze sulla libera espressione di volontà punitiva da parte della vittima del reato.

D'altra parte, si è ancora osservato a tal riguardo, analizzando la struttura normativa, risulta come la disposizione dell'art. 612 bis comma 4 c.p.  preveda la gravità della minaccia, tramite il richiamo all'art. 612 comma 2 c.p., non già nella funzione aggravatrice espressa formalmente da tale seconda norma, ma come modalità di manifestazione della condotta intimidatrice attraverso la quale è stato commesso il reato di atti persecutori, al fine di determinare il diverso profilo della revocabilità della querela.

Sul punto, si è infine evidenziato come l'impermeabilità tra il regime di procedibilità del reato di minaccia e quello del delitto di stalking sia stata già espressa, anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. 150/2022, da un orientamento della giurisprudenza di legittimità, ove si è sottolineato che, quando la condotta sia realizzata mediante minacce gravi e reiterate, non v'è alcuna conseguenza sulla regola di irrevocabilità della querela a seguito della modifica del regime di procedibilità del delitto di minaccia grave introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (Sez. 5, n. 12801 del 21/2/2019, C.,), che aveva previsto una regola di procedibilità a querela "senza eccezioni" del reato di minaccia grave. Il medesimo principio vale dunque, a maggior ragione, ha affermato il Collegio, allo stato attuale, stante il fatto che la regola di procedibilità a querela assoluta è "temperata" dalle predette eccezioni introdotte dalla recente riforma del 2022.

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Tanto premesso, nella fattispecie in esame la Quinta Sezione della Suprema Corte ha ritenuto di dare seguito all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di atti persecutori, ai fini della irrevocabilità della querela, non è necessario che la gravità delle minacce, che costituisce una modalità di realizzazione della condotta, sia oggetto di specifica contestazione (Sez. 5, n. 7994 del 9/12/2020, dep. 2021, S.; Sez. 5, n. 9403 del 24/1/2022, B.). I giudici di legittimità hanno invece ritenuto non condivisibile l'opposta tesi, a mente della quale, ai fini della irrevocabilità, è necessario che, nell'imputazione, sia contestato in modo chiaro e preciso che la condotta è stata realizzata con minacce reiterate ed integranti i caratteri della circostanza aggravante di cui all'art. 612 comma 2 c.p. (Sez. 5, n. 3034 del 17/12/2020, dep. 2021, C.).

Invero, ha osservato la Corte, entrambe le opzioni ermeneutiche si confrontano con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24906 del 18/04/2019, Sorge (avente ad oggetto il tema relativo alla circostanza aggravante dell'atto fidefacente ex art. 476 comma 2 c.p.) e con le applicazioni del relativo principio di diritto al reato di minaccia aggravata, le quali sostengono come non possa considerarsi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza, la fattispecie aggravata di cui all'art. 612 comma 2 c.p., qualora nell'imputazione non sia esposta la natura grave della minaccia o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma, trattandosi, infatti, di un'aggravante che implica una "spiccata componente valutativa", che deve esprimersi necessariamente nella contestazione di reato formalmente articolata (sul punto, Sez. 5, n. 25222 del 14/7/2020, Lungaro; Sez. 5, n. 13799 del 12/2/2020, Turè). 

All'esito di tale confronto, l'orientamento cui ha ritenuto di aderire la Corte afferma che, nella formulazione dell'art. 612 bis comma 4 c.p., la gravità delle minacce, richiamata attraverso il riferimento all'art. 612 comma 2 c.p.,  configura una modalità di realizzazione della condotta di atti persecutori e non svela alcun profilo di aggravamento della punibilità del fatto; bensì, valuta il maggior disvalore di esso sotto un diverso profilo, concernente la procedibilità del reato, il quale è avulso dall'imputazione e non soggetto alle regole di necessaria contestazione dettate dalle Sezioni Unite in tema di aggravanti del reato e in relazione al rispetto del diritto di difesa dell'imputato.

Diversamente, la tesi opposta ritiene di estendere la regola di necessaria contestazione dell'aggravante valutativa anche quando tale circostanza aggravante non rilevi in quanto tale, ma solo come connotazione modale della condotta ed a fini diversi da quelli sanzionatori.

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Sulla base di tali premesse, la Corte ha rilevato come, nel caso di specie, ricorresse una situazione di irrevocabilità della querela: la condotta in concreto commessa dall'imputato si caratterizzava, infatti, per la reiterazione delle minacce rivolte alla vittima e la gravità di esse; e tali connotazioni dell'agire delittuoso erano evincibili dalla contestazione di reato (la quale richiamava esplicitamente la reiterazione e le minacce di morte in più occasioni, con l'uso di espressioni verbali particolarmente forti, del tipo: "Ti uccido, ti sciolgo nell'acido"). Minacce, quest'ultime, ritenute dal Collegio molto gravi, anche perché rese tanto più intimidatorie dal fatto di essere evocative di una condotta famigeratamente entrata nella letteratura criminale delle violenze collegate al reato di atti persecutori: ossia l'utilizzo di sostanze chimiche acide, capaci di provocare danni gravissimi e, in taluni casi, la morte della vittima attinta. Nella fattispecie, era inoltre riconoscibile, in capo all'imputato, una seria e concreta capacità di ledere, manifestatasi in condotte violente.

Tali minacce, si è quindi osservato, hanno determinato un impatto negativo sulla persona offesa del reato assolutamente considerevole, avendo ella modificato le sue abitudini di vita quotidiane ed essendo caduta in uno stato d'angoscia ed ansia molto intensi.

Ne consegue, ha rilevato il Collegio, l'impossibilità di dubitare della gravità di tali condotte: a tal fine, è inoltre necessario tenere conto del fatto che gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che hanno sino ad oggi definito i contorni di tale assetto più grave della condotta intimidatrice, ritengono rilevante, ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave previsto dall'art. 612 comma 2 c.p., l'entità del turbamento psichico determinato dall'atto intimidatorio sul soggetto passivo, che va accertata avendo riguardo non soltanto al tenore delle espressioni verbali proferite, ma anche al contesto nel quale esse si collocano (Sez. 5, n. 8193 del 14/01/2019, Criscio; Sez. 6, n. 35593 del 16/06/2015, Romeo).

La realizzazione di tali minacce reiterate e gravi ha reso pertanto irrevocabile, ha affermato la Corte, la querela proposta dalla persona offesa nei confronti dell'imputato, con conseguente rigetto del motivo di ricorso proposto da quest'ultimo.