La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 39498, pronunciata all'udienza del 7 giugno 2023 (deposito motivazioni in data 28 settembre 2023), ha preso in esame la questione se costituisca violazione del divieto di ‘bis in idem', ex art. 649 c.p.p., l'emissione, per lo stesso fatto, di una sentenza o di un decreto penale di condanna e di un decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p..
Il fatto.
Una persona condannata per il reato di cui all'art. 633 c.p. proponeva ricorso avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Palermo, quale giudice dell'esecuzione, aveva respinto l'istanza ex art. 669 c.p.p., volta ad ottenere l'esecuzione del decreto di archiviazione emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p., nei confronti della predetta, ed in data precedente, dal G.I.P. di Palermo, per il medesimo reato, con conseguente revoca della sentenza di condanna.
Il giudice aveva ritenuto non applicabile il disposto dell'art. 669 c.p.p., sulla base della motivazione per cui il decreto di archiviazione emesso ex art. 131-bis c.p. non è equiparabile alle sentenze e ai decreti penali di condanna, menzionati dalla predetta norma.
Tramite uno dei propri motivi di ricorso, il condannato lamentava l'erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 649 e 669 c.p.p.. Il giudice aveva, infatti, affermato come il principio del divieto di un secondo giudizio non operasse nel caso di provvedimenti decisori aventi una forza preclusiva limitata, come il decreto di archiviazione seguito dalla riapertura delle indagini senza l'autorizzazione del giudice; tuttavia, a detta del ricorrente, egli non aveva motivato tale decisione, la quale si poneva in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui le situazioni di litispendenza devono essere risolte dichiarando, nel secondo processo, l'impromovibilità dell'azione penale per la preclusione esercitata dal divieto stabilito dall'art. 649 c.p.p.. Stante l'anteriorità del decreto di archiviazione, egli non avrebbe, pertanto, potuto essere condannato successivamente per il medesimo reato, ed il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto revocare la sentenza di condanna e dare esecuzione al solo decreto di archiviazione.
La decisione.
La Suprema Corte ha ritenuto l'ordinanza impugnata adeguatamente motivata, e conforme alla norma di cui all'art. 669 c.p.p., nonché ai relativi principi giurisprudenziali.
I giudici di legittimità hanno in primis rilevato come, nel caso di specie, la possibile sussistenza di una situazione di improcedibilità della nuova azione penale, dovuta alla intervenuta emissione di un decreto di archiviazione per fatti affermati come identici, non fosse stata rilevata nel corso del giudizio ordinario, conclusosi con l'emissione di una sentenza di condanna. Su tale decisione si era quindi formato il giudicato che, ha osservato il Collegio richiamando la costante giurisprudenza di legittimità, copre non solo le questioni dedotte ma anche quelle deducibili, ma non tempestivamente dedotte, comprese le questioni relative alla procedibilità.
In ordine a tale questione, la Corte ha ricordato una pronuncia, risalente, ma giudicata ancora attuale, secondo cui: "La mancanza di una condizione di procedibilità non configura una ipotesi di inesistenza della sentenza, rientrando tale mancanza (come quella concernente il difetto di querela) nella categoria dei vitia in procedendo, che assurgendo a causa di nullità assoluta, subiscono l'effetto della sanatoria derivante dal giudicato e sono coperti dallo stesso... " (Sez.2, n, 518 del 11/02/1980). La questione - ha quindi osservato il Collegio - non poteva più essere sollevata, stante l'impossibilità di travolgere il giudicato, ormai formatosi anche in punto di procedibilità dell'azione penale.
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Ciò posto, la Corte ha tuttavia giudicato rilevante il tema concernente la contemporanea pendenza, per il medesimo fatto, di un decreto di archiviazione e di una sentenza di condanna, dovendosi valutare l'applicabilità o meno, in tale situazione, dell'art. 649 c.p.p.. L'accertamento, infatti, della violazione del divieto di un secondo giudizio impone l'intervento del giudice in ogni stato e grado del giudizio, dovendosi emettere una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ovvero rilevare la situazione di litispendenza e dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale nuovamente esercitata dal pubblico ministero, nel rispetto del principio secondo cui: "Non può essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talchè nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità" (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005; conforme Sez. 3, n. 17917 del 10/03/2016, con riferimento alla competenza del giudice dell'esecuzione).
Al fine di accertare se sussista una violazione del divieto di ‘bis in idem', quando il medesimo fatto sia stato, in tutto o in parte, oggetto di una sentenza di condanna e di un decreto di archiviazione, in particolare se emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p., la Corte di Cassazione ha ritenuto dirimente la natura da attribuire a quest'ultimo.
Gli artt. 649 e 669 c.p.p., si è osservato, individuano tale violazione solo con riferimento all'avvenuta emissione di "sentenze" o "decreti penali di condanna". Alla luce del tenore letterale di tali norme, si deve pertanto escludere che un decreto di archiviazione possa costituire un provvedimento equiparabile alla sentenza o al decreto penale di condanna, con riferimento al rispetto del divieto di un secondo giudizio stabilito dall'art. 649 c.p.p., e che possa quindi sollevarsi questione di litispendenza tra un decreto di archiviazione e una sentenza o un decreto penale di condanna, salvo il caso della preclusione all'esercizio dell'azione penale derivante dalla violazione dell'art. 414 c.p.p..
La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte affermato, seppur con riferimento alla rilevanza del decreto di archiviazione in caso di richiesta di estradizione, che "il principio del "ne bis in idem" Europeo... opera nel diritto interno solo in presenza di un provvedimento definitorio del giudizio con efficacia di giudicato, quale non è il decreto di archiviazione emesso dall'autorità giudiziaria straniera..." (Sez. 2, n. 51221 del 15/06/2018; Sez. 6, n. 6241 del 29/01/2020). Tuttavia, i giudici di legittimità hanno posto l'interrogativo se tale principio possa valere anche con riferimento al decreto di archiviazione emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p., attesa la diversa natura al medesimo attribuibile: esso, infatti, pur non assumendo efficacia di giudicato, deve essere iscritto nel casellario giudiziario, e può produrre un effetto preclusivo in ordine alla ulteriore concessione dell'assoluzione per il medesimo motivo.
Sul punto, la Corte ha richiamato la sentenza delle SS.UU. n. 30954 del 30/05/2019, De Martino, la quale, nell'affermare l'obbligo di iscrizione nel casellario giudiziario del decreto in discorso, ha chiarito nella motivazione i limiti e gli effetti di tale iscrizione, ed ha, in particolare, anche incidentalmente confermato la diversità del decreto di archiviazione rispetto alle sentenze e ai decreti penali di condanna, ribadendo, ad esempio, che "Deve però escludersi che la valutazione pregiudiziale sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all'indagato compiuta in sede di archiviazione costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza... avvenendo in una fase anteriore al giudizio".
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Sulla base di tali osservazioni, la Suprema Corte ha quindi ritenuto confermata la non equiparabilità del decreto di archiviazione - anche se emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p. - alla "sentenza" ed al "decreto penale di condanna", i quali rendono possibile la violazione del principio del "ne bis in idem", ai sensi degli artt. 649 e 669 c.p.p.. I giudici di legittimità hanno, conseguentemente, confermato il principio di diritto, espresso nella sentenza della stessa Prima Sezione Penale, n. 12025 del 17/02/2022, Tacchi, secondo cui "la tesi della equiparazione di tale provvedimento (cioè del decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p.) alle sentenze e ai decreti penali di condanna, ai fini dell'applicazione delle disposizioni dell'art. 669 c.p.p., risulta infondata sul piano sostanziale, oltre che dell'interpretazione letterale".
Il Collegio ha, infine, ritenuto, come tale principio non si ponga in contrasto con la già intervenuta equiparazione alle "sentenze" ed ai "decreti penali di condanna", dei provvedimenti adottati dal giudice dell'esecuzione, ai fini della valutazione del rispetto del divieto di "bis in idem". Tale equiparazione era stata stabilita, a sua volta, dalla Sentenza della Prima Sezione Penale della Suprema Corte, n. 26031 del 05/07/2005, che aveva dettato un principio più recentemente esteso ai provvedimenti non ancora definitivi emessi dal giudice dell'esecuzione, tramite la sentenza della Quinta Sezione Penale, n. 34324 del 07/10/2020, secondo la quale: "Il principio del "ne bis in idem" è applicabile in via analogica con riferimento alle ordinanze del giudice dell'esecuzione nei casi in cui esso costituisca l'unico strumento possibile per eliminare uno dei due provvedimenti emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona".
Tale principio - si è rilevato - trova infatti la sua ragione nel fatto che i provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono suscettibili di divenire irrevocabili e comportano una successiva attività per la loro esecuzione, creando così un contrasto di giudicati nell'ipotesi in cui, in relazione ad una medesima situazione, vengano emessi due provvedimenti dal contenuto non perfettamente sovrapponibile; pertanto, anche in tale circostanza, il contrasto deve essere risolto, dal giudice dell'esecuzione, in senso favorevole al condannato.
Tale osservazione - ha affermato la Corte - consente di porre in rilievo, anche sotto tale profilo, la diversità tra i provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione e il decreto di archiviazione emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p.: quest'ultimo non è, infatti, suscettibile di esecuzione, ed incide su ulteriori procedimenti solo nel senso precisato dalla predetta sentenza delle Sezioni Unite n. 30954/2019.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha quindi rigettato il ricorso proposto, affermando il seguente principio di diritto:
"Non costituisce violazione del divieto di ‘bis in idem', stabilito dall'art. 649 c.p.p., l'emissione, per lo stesso fatto, di una sentenza o di un decreto penale di condanna e di un decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p., non essendo quest'ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire la irrevocabilità".