venerdì 3 novembre 2023

Art. 581 commi 1 ter e 1 quater c.p.p.: la Suprema Corte dichiara manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale.

In materia di impugnazioni, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 43718, pronunciata all'udienza dell'11 ottobre 2023 (deposito motivazioni in data 30 ottobre 2023), ha preso in esame una questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alle norme di cui ai commi 1 ter e 1 quater dell'art. 581 c.p.p., a mente delle quali: "Con l'atto d'impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d'inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio". "Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore è depositato, a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio".

La questione di legittimità.

Nella fattispecie, un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Roma ne aveva confermato la penale responsabilità per il reato di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990. Tramite uno dei propri motivi di ricorso, il medesimo chiedeva sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell'art. 581 c.p.p., commi 1 ter e 1 quater, introdotti dal D.Lgs. n. 150 del 2022, in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost.. Secondo il ricorrente, infatti, tali norme - prevedendo l'obbligo di sottoscrizione di una dichiarazione o elezione di domicilio e un mandato ad impugnare a pena di inammissibilità dell'impugnazione -  avrebbero creato una disparità di trattamento in capo agli imputati dichiarati assenti, rispetto agli imputati presenti, creando così le condizioni per la violazione del diritto di difesa degli imputati assenti, specialmente nell'ipotesi in cui gli stessi siano assistiti da difensori d'ufficio, i quali si trovano sovente gravati da un difficoltoso onere di reperimento del proprio assistito.

La decisione.

La Suprema Corte ha, in primis, ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale, affermando di condividere l'orientamento giurisprudenziale espresso dalla Sentenza Nappi, n. 39166, pronunciata dalla Quinta Sezione Penale lo scorso 4 luglio, secondo cui sono applicabili al ricorso per cassazione proposto dall'imputato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza, gli specifici oneri formali previsti dall'art. 581 comma 1 quater c.p.p.. Secondo tale orientamento, la norma in oggetto rientra, infatti, tra le disposizioni generali relative alle impugnazioni, valevoli, in mancanza di indici normativi di segno contrario, anche per il ricorso per cassazione; essa non può quindi essere intesa nel senso di consentire l'impugnazione di legittimità nell'interesse dell'imputato assente secondo un regime meno rigoroso di quello vigente per l'appello, essendo infatti funzionale a garantire a quest'ultimo l'esercizio consapevole del diritto di impugnazione. D'altra parte, si è osservato, le stesse SS.UU. Galtelli (n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 2017) avevano, a tal riguardo, posto in evidenza come gli artt. 581 e 591 c.p.p., disciplinanti i requisiti formali e sostanziali cui deve sottostare l'atto introduttivo del giudizio di impugnazione, si collochino entrambi nel Titolo I ("Disposizioni generali"") del Libro IX ("Impugnazioni") e siano, perciò, senz'altro applicabili sia all'appello che al ricorso per cassazione.

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Ciò premesso, i giudici di legittimità, prendendo in esame la dedotta questione di legittimità costituzionale, hanno ritenuto generica, e non connotata da concreta specificità e pertinenza censoria, la doglianza secondo cui l'introduzione delle norme oggetto di scrutinio stravolgerebbe il sistema delle impugnazioni, con riguardo, in primo luogo, alla  legittimazione all'impugnazione disciplinata dall'art. 571 c.p.p..

Sul punto, si è, innanzitutto, ricordato come il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sia stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla L. 27 settembre 2021, n. 134 e come la nuova disposizione dell'art. 581 comma 1 ter c.p.p. riproduca pedissequamente quanto previsto dall'art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega: "Fermo restando il criterio di cui al comma 7, lett. h), dettato per il processo in assenza, prevedere che con l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione".

Nella Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150 del 2022 si legge, invece: "l'art. 581 c.p.p., comma 1 ter, in attuazione del criterio di cui all'art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, introduce un'ulteriore condizione di ammissibilità dell'impugnazione: con l'atto d'impugnazione deve essere presentata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. In caso di impugnazione del difensore dell'imputato assente, per attuare la delega sono aumentati di quindici giorni i termini per impugnare previsti dall'art. 585, comma 1". Analogo riscontro vi è, inoltre, nella relazione che ha accompagnato la legge, in relazione all'art. 581 comma 1 quater c.p.p..

Ciò posto, il Collegio ha evidenziato come lo scopo della riforma consista nella selezione, in entrata, delle impugnazioni, al fine di caducare quelle che: "non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte". Così qualificata la ratio della norma, si è affermato come essa appaia del tutto ragionevole, ed esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore, escludendo qualsivoglia contrasto con alcuna delle norme costituzionali invocate dal ricorrente.

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Il contrasto con i principi costituzionali ipotizzato dal ricorrente poggiava, in particolare, su di una possibile restrizione della facoltà d'impugnazione che deriverebbe dal chiedere all'imputato - assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato, e di cui pure era stato posto a conoscenza - di indicare un domicilio che renda più agevole il processo di notificazione dell'atto d'impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.

Sotto il profilo concernente la parità tra accusa e difesa, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 26 febbraio 2020, la quale si pronunciò nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 593 c.p.p., come sostituito dal D.Lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna "solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato". In tale pronuncia, il Giudice delle leggi fece propria la costante affermazione per cui: "Nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato: potendo una disparità di trattamento "risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia". Si ribadiva, inoltre, come il processo penale sia caratterizzato da una asimmetria "strutturale" tra i due antagonisti principali, con la conseguenza per cui le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell'iter processuale, in un'assoluta simmetria di poteri e facoltà.

Con riguardo, invece, alla garanzia del doppio grado di giurisdizione, si è rilevato come la Consulta abbia ribadito che la medesima non gode, di per sé, di riconoscimento costituzionale, sebbene la riconducibilità del potere d'impugnazione al diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi; mentre a livello sovranazionale, l'art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e l'art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato.

Nel caso di specie, tuttavia, ha affermato la Corte, le norme tacciate d'incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, ma perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell'imputato; lo scopo di tali previsioni è quello, infatti, di evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, e di far sì che l'impugnazione sia espressione del personale interesse dell'imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.

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Sotto ulteriore profilo, la Corte ha ritenuto altrettanto condivisibile, ragionevole e logica la ratio legis di operare una diversa scelta tra l'imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica.

I giudici di legittimità non hanno condiviso la tesi del ricorrente secondo cui dalla predetta disciplina deriverebbe un aggravio di tempo che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l'impugnazione: il legislatore, infatti, proprio al fine di evitare tale rischio, e garantire la compatibilità costituzionale della nuova disciplina, ha previsto tutele compensative rispetto alla nuova previsione, tramite l'ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l'imputato assente e l'estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare.

In particolare, il nuovo art. 585 comma 1-bis c.p.p. prevede che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza. 

Per quanto, invece, riguarda, la disciplina della restituzione in termini, si è rilevato come il nuovo comma 2.1 dell'art. 175 c.p.p. preveda che l'imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.

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La Corte di Cassazione ha, inoltre, rilevato l'erroneità dell'equiparazione, operata dal ricorrente, tra imputato assente ed imputato irreperibile. La norma in oggetto riguarda, infatti, solo l'imputato assente, ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore, ex art. 420 bis comma 4 c.p.p.. Tale scelta, come noto, deve essere volontaria e consapevole, ed è oggetto di accertamento da parte del giudice, ai sensi dei commi 1 e 2 del medesimo art. 420-bis. Circostanze, queste, che, ha osservato la Corte, comportano che il difensore non incontri, di norma, "soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare". In tal senso deporrebbe, altresì, la circostanza per cui già il testo dell'art. 571, comma 3 c.p.p. soppresso dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 46 stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, anche se tale mandato poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.

In ogni caso, ha rilevato altresì il Collegio, il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all'imputato, anche prima dell'emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall'art. 571 comma 1 c.p.p., il quale abbia il potere di proporre l'impugnazione.

La disposizione in oggetto non riguarda, dunque, l'ipotesi dell'imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia (con la designazione di un difensore d'ufficio ed i successivi incombenti), sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé. Tale soggetto, si è infatti osservato, non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente, atteso che la relativa posizione processuale sarà di regola oggetto di sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo di cui all'art. 420-quater c.p.p..

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La Suprema Corte ha, infine, escluso che possa rinvenirsi alcun contrasto tra la norma oggetto di scrutinio e le norme costituzionali, per il fatto di aver imposto all'imputato assente la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

La nuova disposizione dell'art. 581 comma 1 ter c.p.p., infatti, al pari dell'incombenza imposta dall'art. 581 comma 1 quater c.p.p., si coordina perfettamente con il novellato art. 157-ter comma 3 c.p.p., secondo cui: "In caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 581, commi 1 ter e 1 quater", nonché con l'art. 164 c.p.p., rubricato "Durata del domicilio dichiarato o eletto", ove si prevede che: "La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli artt. 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall'art. 156, comma 1". Il nuovo testo di tale norma, infatti, sostituendo l'inciso contenuto nell'art. 164 c.p.p. in base al quale la dichiarazione o l'elezione di domicilio era valida per ogni stato e grado del procedimento, ha escluso che la dichiarazione o l'elezione di domicilio, già presente in atti, possa esonerare l'impugnante dal deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.

Le predette considerazioni circa il fatto che l'imputato assente non è affatto irreperibile - ha infatti osservato la Corte - valgono anche per l'ulteriore onere richiestogli di indicare il domicilio ove indirizzargli la notifica del nuovo decreto di citazione.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto ritenuto costituzionalmente legittime le norme di cui ai commi 1 ter e 1 quater dell'art. 581 c.p.p., dichiarando, pertanto, inammissibile il ricorso, in quanto proposto da difensore privo dello specifico mandato ad impugnare richiesto da tale norma.