In materia di reati tributari, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 32, pronunciata all'udienza del 12 dicembre 2023 (deposito motivazioni in data 2 gennaio 2024), ha preso in esame il tema relativo all'identificazione del profitto dei reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10 bis D. Lgs. 74/00) e di indebita compensazione (art. 10 quater D. Lgs. 74/00).
Il fatto.
Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza ex art. 444 c.p.p. con cui il GUP del Tribunale di Venezia aveva applicato al medesimo una pena in ordine ai reati di cui agli artt. 10 bis e 10 quater D.lgs. n. 74/2000 e 603 bis commi 1 e 4 c.p., disponendo, altresì, la confisca obbligatoria dei beni di cui egli aveva la disponibilità, ex art. 603 bis.2 c.p., ed ex art. 12 bis D.lgs. n. 74/2000.
Tramite il proprio ricorso, l'imputato lamentava inosservanza degli artt. 603 bis.2 c.p. e 12 bis D.lgs. n. 74/2000 e vizio di mancanza della motivazione nella parte della sentenza in cui il giudice aveva disposto la confisca dei beni senza prova di sussistenza del profitto di reato e della sua eventuale quantificazione, essendosi limitato a disporre il provvedimento ablativo per equivalente, senza dar conto dell'accertamento della sussistenza di un effettivo profitto del reato.
La decisione.
La Suprema Corte ha dapprima ricordato come sia stato ribadito, nella più recente giurisprudenza di legittimità, che, in tema di omesso versamento delle ritenute certificate ai sensi dell'art. 10 bis D.lgs. n. 74/2000, è legittima la confisca, anche per equivalente, dell'importo corrispondente all'imposta evasa nella sua totalità, e non nella sola parte eccedente la soglia di punibilità prevista ex lege, identificandosi il profitto del reato nell' intero ammontare del tributo non versato (sez. 3, n. 2858 del 30/11/2022, dep. 2023, Bertini, Rv. 284127-03).
Parimenti, con riguardo alla fattispecie di indebita compensazione di crediti di imposta, si è posto in evidenza come il profitto del reato di cui all'art. 10 quater cit., che può essere oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, sia costituito dall' importo corrispondente all'imposta evasa nella sua totalità. Sul punto, hanno rilevato i giudici di legittimità, si è espressa la Terza Sezione Penale della Suprema Corte, con la Sentenza n. 46709 del 28/3/2018, Carriera, ove si è precisato che, essendo il profitto costituito da denaro, la confisca delle somme deve essere qualificata come diretta. In precedenza, le Sezioni Unite, con la Sentenza n. 31611 del 26/6/2015, Lucci avevano chiarito che, ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, dev'essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato. In altri termini, è, infatti, la natura fungibile del bene, destinato a confondersi con le altre disponibilità economiche del reo, a rendere superflua la prova del nesso di derivazione diretta della somma materialmente oggetto dell'ablazione e il reato (Sez. 5, n. 23393 del 29/3/2017, Garau).
Ciò premesso, la Suprema Corte ha giudicato infondato il ricorso dell'imputato con riferimento agli importi relativi ai reati fiscali, rilevando, peraltro, anche il difetto di interesse quanto alle somme indicate in relazione al delitto di omesso versamento di ritenute, essendo stata disposta la confisca per equivalente per un valore di Euro 220.596,23, a fronte di ritenute pari a Euro 223.376,98. Il Collegio ha ritenuto infondate le doglianze anche per la loro aspecificità, essendosi la difesa limitata ad affermare la necessità dell'indicazione degli elementi di calcolo del profitto del reato nella misura indicata, omettendo, tuttavia, di considerare che esso si identifica con le somme non versate.
A differente conclusione sono giunti i giudici di legittimità con riguardo al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. A tal riguardo, infatti, si è osservato, in difetto di qualsivoglia indicazione sul punto, pur a fronte di una sentenza di patteggiamento, la quantificazione del profitto non si ricava automaticamente dalla imputazione, ma dev'essere frutto di uno specifico accertamento, non richiamato, nel caso di specie, dal giudice, anche solo al fine di ritenerlo corretto.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte ha pertanto annullato con rinvio la sentenza, limitatamente alla confisca disposta in relazione al reato di cui all'art. 603 bis c.p..