sabato 17 novembre 2018

Giurisprudenza di legittimità 2018 in tema di rito abbreviato, parte 8: contrasto giurisprudenziale circa la notifica della sentenza all'imputato che non sia comparso per tutto il corso del giudizio abbreviato.

In tema di giudizio abbreviato, la Corte di Cassazione, con due diverse pronunce delle Sezioni Terza e Prima Penale, pervenute ad esiti opposti, si è espressa nel corso del 2018 sulla seguente questione di diritto: se la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato debba essere notificata all'imputato che non sia comparso per tutto il corso del giudizio.

La prima di tali sentenze (n. 32505), pronunciata dalla Terza Sezione Penale in data 19 gennaio 2018 (deposito motivazioni in data 16 luglio 2018), è stata emessa in seguito al ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Genova aveva dichiarato inammissibile l'appello da egli proposto nei confronti della sentenza del Tribunale di Savona, pronunciata il 23 settembre 2016 all'esito di giudizio abbreviato.
La Corte d'Appello aveva rilevato come l'impugnazione fosse tardiva: la sentenza era stata infatti depositata tempestivamente entro il termine, previsto nel dispositivo, di novanta giorni, mentre l'atto d'appello era stato depositato in data 2 marzo 2017; né l'imputato poteva essere stato rimesso in termini dalla notifica dell'avviso di deposito da parte della cancelleria.

Con il proprio ricorso, l'imputato lamentava violazione di legge ex art. 442 comma 3 c.p.p.. Egli sosteneva infatti come, in base a tale norma (ancora relativa al precedente regime della contumacia), le sentenze emesse in seguito a giudizio abbreviato debbano essere notificate all'imputato assente lungo tutto il corso del giudizio. Pertanto, il termine per impugnare, nel caso in cui il giudice si sia riservato un periodo superiore ai quindici giorni, dovrebbe essere considerato di quarantacinque giorni decorrenti dalla notifica dell'avviso di deposito, simile al precedente estratto contumaciale. Tale termine sarebbe inoltre valido sia per il difensore sia per l'imputato, ai sensi dell'art. 585 comma 3 c.p.p..
L'imputato chiedeva quindi l'annullamento dell'ordinanza impugnata, essendo stato, nel giudizio in esame, regolarmente effettuato il predetto avviso di deposito. Inoltre - sosteneva il ricorrente - il comma 3 dell'art. 442 c.p.p. dev'essere considerato tuttora in vigore, pur dopo la riforma del processo in assenza.
Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dal canto suo, aderiva a tale motivo di ricorso, chiedendo anch'egli l'annullamento dell'ordinanza con rinvio alla Corte d'Appello per la trattazione dell'impugnazione.

In questa prima pronuncia, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza emessa in esito a giudizio abbreviato debba in effetti essere notificata all'imputato assente e non invece all'imputato già presente che non sia comparso all'atto di lettura del dispositivo, con conseguente decorso dei termini per impugnare a partire dalla data di tale notifica.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto osservato come l'ordinanza della Corte d'Appello intendesse rilevare che, dopo la riforma della disciplina del processo in assenza, l'avviso previsto dagli artt. 442 comma 3 c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p. non sia più necessario, essendo ormai l'imputato rappresentato dal difensore. Tale tesi sostiene quindi l'abrogazione implicita di tali due norme; peraltro, già con riferimento al giudizio d'appello, la Suprema Corte, con la Sentenza n. 49164/15, aveva al riguardo affermato che "nel giudizio di appello contro le sentenze pronunciate con rito abbreviato non si applica l'istituto della contumacia, con la conseguenza che l'imputato ritualmente citato e non comparso non ha diritto alla notificazione del rinvio dell'udienza ad altra data, essendo rappresentato dal difensore".

La Corte ha quindi proceduto all'analisi della ratio delle due disposizioni in discorso, le quali tutelano diritti fondamentali dell'imputato, in particolare quello alla piena conoscenza dei risultati del processo, ai fini della valutazione dell'eventuale impugnazione. Secondo il Collegio sarebbe "oltremodo inconsueto" che il legislatore si sia dimenticato di abrogare due norme tanto importanti con la l. 67/2014, la quale ha previsto una riforma organica e completa del codice di rito in tema di assenza.
Peraltro, si è osservato come la disciplina di cui all'art. 442 comma 3 c.p.p. non sia stata interessata né dalle modifiche apportate a tale articolo dalla l. 479/99, che introdusse il comma 1 bis né da quelle introdotte dal D.L. 341/00 convertito in l. 4/01, che riguardarono il comma 2. Secondo la Corte, quindi, la mancata modifica del comma 3 dell'articolo in oggetto non può essere considerata frutto di una svista o di un mancato coordinamento tra norme succedutesi nel tempo. Tale tesi è stata sostenuta anche in relazione al giudizio abbreviato d'appello dalla stessa Terza Sezione Penale con la Sentenza n. 29286/15: "In tema di giudizio abbreviato in grado di appello, l'imputato non comparso nel procedimento in camera di consiglio ha diritto alla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento che definisce il giudizio, ai sensi dell'art. 128 c.p.p., anche se dello stesso è stata data lettura in udienza, sicché il termine per proporre impugnazione decorre solo dalla data della notificazione e non già da quella in cui sia avvenuta la pubblicazione della sentenza".

I giudici di legittimità hanno infine osservato come far dipendere una sanzione produttiva di effetti negativi per l'imputato, quali quelli conseguenti ad una possibile declaratoria di inammissibilità dell'atto di impugnazione, da un'interpretazione che ritiene solo tacitamente abrogata una disciplina di favore relativa al diritto ad impugnare una sentenza di condanna, sarebbe in contrasto con la CEDU. In particolare, ne risulterebbero violati i principi del giusto processo, il quale richiede sempre per le norme penali un'interpretazione in favor rei, e quelli di interpretazione ragionevole e prevedibilità della norma.
D'altra parte - ha rilevato ancora la Corte - con riferimento alla figura del latitante - rappresentato anch'egli dal difensore ex art. 165 comma 3  c.p.p. - non è mai stata messa in dubbio la notifica dell'estratto della sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato: da ciò si può quindi dedurre come la rappresentanza del difensore, da sola, non sia idonea a far ritenere non dovuta la notifica della sentenza.

La Corte ha quindi ritenuto, nel caso di specie, come fosse necessario procedere alla notifica all'imputato della sentenza emessa in esito a rito abbreviato, con conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e trasmissione degli atti alla Corte d'Appello di Genova per lo svolgimento del giudizio.

La seconda Sentenza (n. 31049) è stata invece emessa dalla Prima Sezione Penale della Suprema Corte all'udienza del 22 maggio 2018 (deposito motivazioni in data 9 luglio 2018).
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da un condannato avverso l'ordinanza con cui il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Pesaro, in qualità di giudice dell'esecuzione, aveva rigettato la richiesta di declaratoria di ineseguibilità della sentenza pronunciata dal medesimo giudice, con conseguente rigetto della richiesta di sospensione dell'esecuzione e di rinnovazione della notifica della sentenza nei confronti dell'imputato dichiarato assente.

Con il proprio ricorso, l'imputato contestava violazione della legge penale e vizio di motivazione: egli rilevava infatti come, dopo aver conferito procura speciale al proprio difensore ai fini della richiesta di rito abbreviato, fosse poi rimasto assente lungo il corso del processo e fino alla lettura del dispositivo; in seguito, non era mai stata effettuata nei suoi confronti la notificazione della sentenza di condanna, con conseguente violazione dell'art. 442 comma 3 c.p.p., né essa era stata ricevuta dal difensore ai sensi dell'art. 161 comma 4 c.p.p..
Il giudice dell'esecuzione aveva rigettato l'istanza sulla base dell'argomentazione per cui la previsione di cui all'art. 442 comma 3 c.p.p. sarebbe da ritenersi ormai implicitamente abrogata dalla riforma apportata dalla l. 67/2014. Secondo  quanto sostenuto dal condannato, invece, le sentenze emesse in esito a giudizio abbreviato andrebbero notificate all'imputato assente, pur dopo la novella introdotta dalla legge entrata in vigore nel 2014. Tale notifica potrebbe, in alternativa, essere effettuata al difensore ai sensi dell'art. 161 comma 4 c.p.p. e, nel caso in cui il giudice si sia riservato un termine superiore a quindici giorni per la motivazione, il termine per l'impugnazione decorrerebbe dalla notifica dell'avviso di deposito sia per il difensore sia per l'imputato.
D'altra parte, secondo il ricorrente, la disposizione in oggetto sarebbe posta a tutela di diritti fondamentali dell'imputato quali, su tutti, il diritto ad una conoscenza consapevole ed effettiva dei procedimenti penali pendenti a proprio carico. Inoltre, sarebbe necessario considerare, a tal fine, come l'art. 548 comma 3 c.p.p. sia stato parzialmente abrogato, nella parte in cui prevedeva la notifica dell'estratto contumaciale, solo in relazione al rito dibattimentale e non anche a quello abbreviato, che manterrebbe invece una regolamentazione speciale e caratteri suoi propri. 
La stessa Corte Costituzionale, infine, affermò al riguardo, con l'Ordinanza n. 125/2005, come l'espressione "in sua assenza", ex art. 420 bis c.p.p., non possa considerarsi sovrapponibile all'espressione "non sia comparso" di cui all'art. 442 comma 3 c.p.p., equivalente invece all'istituto dell'assenza nella forma precedente alla riforma del 2014. Da ciò si può quindi affermare che, allorché il codice preveda che "la sentenza è notificata all'imputato che non sia comparso", intende qualcosa di diverso dal soggetto "assente", non potendo infatti le due espressioni considerarsi omologhe, per ragioni sia letterali sia di ordine sistematico. 
Infine, a sostegno del proprio ricorso, l'imputato menzionava anche l'orientamento favorevole, sopra esposto, della Corte di Cassazione, espresso con le sentenze n. 29286/2015 e 33540/2016.

La Suprema Corte ha innanzitutto ricostruito le innovazioni apportate al sistema processuale, ed in particolare all'istituto della contumacia, negli artt. 420 bis-quinquies c.p.p., mediante l'introduzione del processo "in assenza" dell'imputato e della "sospensione del procedimento nei confronti degli imputati irreperibili". Come noto, la disciplina della contumacia è stata infatti eliminata, mentre si è previsto come, al ricorrere delle situazioni di cui agli artt. 420 bis comma 1 e 2 c.p.p., oppure quando l'imputato rinunci a presenziare all'udienza o siano comunque acquisiti elementi certi in relazione alla sua conoscenza del processo, egli sia rappresentato dal proprio difensore.
In sintesi, quindi, la disciplina della partecipazione dell'imputato al processo ha conosciuto un radicale cambio di prospettiva: nel precedente regime, infatti, la dichiarazione di contumacia conseguiva alla rituale notificazione all'imputato dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare ed alla mancata comparsa di questi all'udienza, senza allegazione e documentazione di un impedimento a presenziare o manifestazione di una volontà espressa di non partecipare al processo a suo carico. Dopo la riforma, invece, la dichiarazione di assenza dipende dalla certa intenzione dell'imputato di non essere presente in quanto, sussistendo anche solo un dubbio circa l'effettiva conoscenza della data dell'udienza o della pendenza del procedimento penale, si procede alla sospensione del medesimo ai sensi dell'art. 420 quater c.p.p..

La Corte ha poi rilevato come in effetti, pur a fronte dell'abrogazione parziale dell'art. 548 c.p.p. in tema di notificazione dell'avviso di deposito della sentenza all'imputato contumace, sia invece rimasto invariato l'art. 442 comma 3 c.p.p. nel prevedere la notifica della sentenza all'imputato non comparso nel corso del giudizio abbreviato.
I giudici di legittimità, esaminando il regime precedente all'introduzione dell'istituto dell'assenza, hanno quindi osservato come la precedente giurisprudenza di legittimità fosse orientata ad ammettere la notifica dell'avviso di deposito della sentenza anche all'imputato non comparso al momento della decisione, pur in assenza di una specifica regolamentazione. A questo proposito, infatti, le Sezioni Unite "Tuzzolino" (Sent. n. 1/00), chiamate a pronunciarsi circa la pretesa inammissibilità dell'appello proposto dall'imputato avverso una sentenza emessa in esito a rito abbreviato, considerando la mancata riproduzione nel testo dell'art. 599 c.p.p. di una previsione analoga a quella dell'art. 442 comma 3 c.p.p., avevano così ricostruito la decisione di introdurre tale ultimo comma nel nuovo codice di rito: "dal momento che la disciplina della contumacia non può trovare applicazione per l'udienza preliminare, ma considerato che quest'ultima e il correlativo giudizio abbreviato possono ritualmente celebrarsi anche in assenza dell'imputato, è sembrato opportuno prevedere espressamente che la sentenza debba essere notificata all'imputato non comparso".
Si era quindi affermato come la ratio della previsione di cui all'art. 442 comma 3 c.p.p. fosse rintracciabile nell'esigenza di assicurare anche nel rito abbreviato le garanzie previste per il processo ordinario contumaciale, così da agevolare il diritto d'impugnazione; ciò a fronte  delle circostanze per cui, in origine, non era estensibile la disciplina della contumacia, né era applicabile l'art. 548 comma 3 c.p.p., relativo alla notifica dell'avviso di deposito con l'estratto della sentenza contumaciale, sebbene l'art. 442 comma 1 c.p.p. operasse, e operi tuttora, un rinvio agli artt. 529 ss. c.p.p..

In un secondo momento, a seguito dell'estensione dell'istituto della contumacia all'udienza preliminare, operato con la l. 479/99 attraverso l'introduzione degli artt. 420 bis-quinquies c.p.p., la giurisprudenza di legittimità si orientò nel senso di ritenere come tali nuove disposizioni fossero applicabili anche al rito abbreviato; diveniva dunque superflua la distinzione tra imputato "non comparso" e "contumace"; gli artt. 442 comma 3 c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p. erano da considerarsi assorbiti nella disciplina prevista per la fase dibattimentale dall'art. 548 c.p.p., in quanto - si disse - "riguardanti una situazione giuridico - processuale superata dalla successiva e più recente normativa".
Si escluse, pertanto, l'obbligo di notificazione della sentenza nei confronti dell'imputato non comparso al momento della decisione, se questi non era stato precedentemente dichiarato contumace; d'altro canto, il rinvio all'art. 529 c.p.p. effettuato dall'art. 442 c.p.p. era da considerarsi riferito anche all'art. 548 c.p.p., con la conseguenza per cui "là dove vi sia stata lettura del dispositivo, la notifica dell'estratto vada effettuata solo all'imputato contumace e non anche all'imputato altrimenti non comparso". Peraltro - ha osservato la Corte - anche una recente pronuncia, emessa nel corso del 2017, ha aderito a tale tesi, in una fattispecie in cui risultava applicabile la disciplina previgente la l. 67/14, per effetto della norme di diritto transitorio.

Ciononostante, la Corte ha rilevato come tale orientamento interpretativo non sia affatto granitico, essendo stato anzi seguito da diverse e più recenti pronunce di legittimità secondo le quali la circostanza per cui la disciplina di cui all'art. 442 comma 3 c.p.p. sia rimasta inalterata, anche a seguito delle riforme apportate con la l. 479/99 e con il D.L. 341/00, sarebbe indicativa del fatto che la persistenza di tale disciplina non costituisca "frutto di una svista o di un mancato coordinamento tra norme succedutesi nel tempo".
Tuttavia - ha osservato il collegio - tale ultimo orientamento giurisprudenziale è antecedente alla riforma apportata all'art. 548 comma 3 c.p.p. dalla l. 67/2014 e, dunque, non ha potuto confrontarsi con il profilo relativo all'eliminazione della ratio che aveva in origine determinato la modifica dell'art. 442 comma 3 c.p.p., mediante l'estensione di garanzie previste per il rito ordinario, ma oggi ormai superate con l'introduzione della nuova disciplina dell'assenza.
Quest'ultima, infatti, è volta a garantire l'effettiva conoscenza del processo, riducendo contestualmente la mancata partecipazione dell'imputato ad una determinazione consapevole e volontaria, presupposto dell'eliminazione dell'obbligo di notifica della sentenza. Dunque, si può ritenere che sia venuta meno anche la ragione giustificatrice dell'art. 442 comma 3 c.p.p., considerando altresì che nel giudizio abbreviato l'imputato non comparso è rappresentato dal difensore investito dei poteri a lui conferiti mediante la procura speciale, necessaria per richiedere il rito alternativo.
Il difensore - ha osservato ancora la Corte - è certamente "in contatto con il proprio assistito e può fornirgli tutte le informazioni necessarie sulla definizione del procedimento e sugli adempimenti da porre in essere per poter contestare la decisione sfavorevole mediante proposizione dell'impugnazione". 
L'interpretazione opposta sortirebbe invece, secondo i giudici di legittimità, effetti incostituzionali, producendo un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi sia giudicato con il rito abbreviato e chi invece opti per il giudizio ordinario: a fronte, infatti, della pari condizione di assenza, solo il primo avrebbe diritto alla notificazione dell'estratto della sentenza, malgrado sia rappresentato ed assistito da un difensore cui è stata conferita procura speciale, il quale contribuisce ad assicurare al proprio assistito una conoscenza certa del processo, cui l'imputato ha scelto di non partecipare.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte, pervenendo ad opposta conclusione rispetto alla Sentenza n. 32505 della Terza Sezione Penale, ha ritenuto infondato e quindi rigettato il ricorso proposto dal condannato nei confronti dell'Ordinanza  pronunciata dal giudice dell'esecuzione.