In materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, con la Sentenza n. 16813, pronunciata all'udienza del 5 aprile 2022, ha preso in esame il tema concernente la prevedibilità dell'evento in capo al datore di lavoro.
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Nella fattispecie, la Corte d'Appello di Torino aveva confermato la responsabilità per il reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3 c.p. in capo ad un'imputata, Presidente del Consiglio di Amministrazione di un'impresa affidataria di lavori di manutenzione straordinaria di un immobile e datore di lavoro della persona offesa, sulla base - tra gli altri - dei seguenti profili di colpa:
violazione dell'art. 146, comma 1 D.Lgs. 81/08, per aver consentito che nell'area di lavoro venisse pericolosamente lasciato aperto un vano nel suolo, in assenza di normale parapetto e tavola fermapiede, o di copertura con tavolato solidamente fissato, e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio; in particolare, per aver consentito che nell'area di fronte ad una banchina di scarico del piazzale antistante l'ingresso principale dell'edificio i lavoratori operassero in presenza di un'apertura nel suolo conseguente alla rimozione delle grate di protezione in ferro, per un fronte di almeno 1,30 m. di larghezza e 22,20 m. di lunghezza, in assenza di qualsiasi tipo di copertura;
violazione dell'art. 96, comma 1, lett. a), in relazione all'Allegato XIII punto 7.2 D.Lgs. 81/08, per aver consentito che il lavoratore infortunato operasse nel cantiere in presenza della predetta apertura nel suolo in assenza di adeguate misure atte a segnalare il pericolo.
Il lavoratore aveva riportato lesioni personali gravi, in quanto, nel rialzarsi dalla seduta dopo una breve pausa, perdeva l'equilibrio e cadeva dentro l'apertura, nella zona ove stava svolgendo la propria attività lavorativa.
Nel corso del giudizio, era emerso come le grate di copertura fossero state oggetto di furto in ben due occasioni: il ripristino delle condizioni di sicurezza, avvenuto dopo il primo di tali fatti delittuosi, era perciò risultato vano.
Il Tribunale di Torino aveva affermato la penale responsabilità dell'imputata, ritenendo che: "La circostanza di avere consentito che l'attività lavorativa si svolgesse senza alcuna cautela presso un luogo di lavoro che presentava delle palesi caratteristiche di elevata pericolosità integra le violazioni di legge (...) facenti riferimento, rispettivamente, all'omessa apprestazione di difese dalle aperture nei solai o nelle piattaforme di lavoro (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 146, comma 1)." Il Giudice aveva inoltre rilevato la "riconducibilità soggettiva di eventuali inosservanze alla normativa antinfortunistica...alla persona del datore di lavoro che (...) ricopriva la carica di presidente del c.d.a. dell'impresa".
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Tramite i propri motivi di ricorso, l'imputata contestava la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, affermando la propria totale inconsapevolezza circa l'effettiva situazione del cantiere, con specifico riguardo alle aperture presenti sul sito, per i predetti ripetuti furti delle grate di protezione da parte di ignoti. Ella poneva, inoltre, in evidenza, a tal fine, la complessa organizzazione imprenditoriale della società del cui C.d.A. era presidente, contando tale impresa, al momento dei fatti, 216 dipendenti e 23 commesse su tutto il territorio nazionale, con conseguente inesigibilità della condotta.
L'imputata lamentava, inoltre, la mancata considerazione della natura del rischio, sopravvenuto ed esogeno, a causa del furto delle grate di copertura. Il primo furto, ed il seguente provvisorio ripristino delle condizioni di sicurezza, era stato riferito dal responsabile di cantiere al responsabile di commessa, mentre il secondo era stato comunicato a quest'ultimo solo dopo l'infortunio occorso alla persona offesa. Di tale situazione, comunque, l'imputata non era mai stata messa al corrente, con conseguente impossibilità, per la medesima, di attivarsi per prevenire l'evento. Infine, ogni possibilità di prevedibilità dell'evento era da ritenersi ulteriormente compromessa dalla decisione autonoma del preposto di far svolgere mansioni lavorative di sabato, giorno contrattualmente non previsto.
La carenza delle informazioni pervenute all'imputata - secondo la Difesa di quest'ultima - aveva comportato, come diretta conseguenza, l'impossibilità di pervenire a una sufficiente individualizzazione della responsabilità penale, specialmente sotto il profilo della prevedibilità del rischio sopravvenuto e dell'evitabilità dell'evento. Tale argomentazione era stata rigettata dai giudici d'appello, secondo i quali invece, nel caso di specie, non era corretto parlare di inesigibilità della condotta da parte dell'imputata, quanto di una "violazione da parte della stessa delle regole che devono presiedere alla sicurezza di cantiere e di una colpevole negligenza nella gestione del rischio, del quale la posizione di garanzia rivestita la onerava".
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La Corte di Cassazione ha, in primis, ritenuto di sicura rilevanza la circostanza per cui la condizione di pericolo, conseguente al secondo furto delle grate, e causativa dell'infortunio, non fosse stata comunicata dal preposto ai propri superiori. Egli, come detto, non aveva provveduto a sospendere le lavorazioni, assumendo autonomamente la decisione di far lavorare gli operai in un giorno - il sabato - non previsto contrattualmente come lavorativo.
I giudici di legittimità hanno, infatti, ricordato, in punto di diritto, come costituisca principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui:
"Nei reati colposi la causalità dell'azione (o dell'omissione) che ha condizionato l'evento va esclusa non soltanto qualora risulti, con valutazione ex post, che sopravvenute concause qualificate siano state da sole sufficienti a determinare l'evento, ma anche qualora l'evento non sia ex ante prevedibile. Sotto quest'ultimo profilo, l'individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta colposa abbia concorso a determinare l'evento, ma se l'autore della stessa potesse prevedere quello specifico sviluppo causale (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn)."
Ciò premesso, nel caso di specie era emerso dagli atti come il responsabile di cantiere gestisse in autonomia i rischi: egli, infatti, si era occupato personalmente del riposizionamento delle grate, rimosse a seguito del primo furto occorso in cantiere; il medesimo aveva, inoltre, autonomia di spesa, ed aveva perciò provveduto a reperire le griglie. Nell'ambito del cantiere, erano, inoltre, a tutti noti gli specifici compiti assegnati e le effettive responsabilità delegate.
L'organizzazione aziendale era, inoltre, articolata in modo da prevedere anche ulteriori figure professionali, ossia il responsabile di commessa, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il responsabile di cantiere, quest'ultimo rivestente anche la posizione di garanzia del preposto, pur se di fatto. A queste professionalità era, dunque, de facto, affidata la gestione del rischio in cantiere.
La Corte, richiamando le Sezioni Unite Espenhahn, ha quindi rilevato, come nell'ambito di una organizzazione complessa, la veste datoriale e la correlata posizione di garanzia non possano essere attribuita solo sulla base di un criterio formale.
Tali principi, secondo i giudici di legittimità, non sono stati osservati dalla Corte d'Appello: il giudice del gravame, infatti, malgrado fosse emerso come l'imputata non avesse mai avuto conoscenza dei furti delle grate né, tantomeno, del fatto che i lavori fossero proseguiti in assenza di adeguate protezioni, aveva fondato la prova della responsabilità sull'assenza di adeguata prova documentale circa l'idoneità delle grate a fungere da valida misura di protezione rispetto all'area interessata. Tale argomentazione - giudicata dal Collegio quale una non giustificata inversione dell'onere della prova - si presentava, peraltro, del tutto inconferente rispetto all'evento, atteso che quest'ultimo si era verificato non per la inadeguatezza delle protezioni, ma per la assenza delle stesse.
La Corte di Cassazione ha, inoltre, escluso che la responsabilità dell'imputata possa essere riconducibile ad un omesso controllo del soggetto cui risultava affidato il compito di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate (ossia il responsabile di cantiere), attesa la natura del tutto occasionale ed imprevedibile degli eventi che avevano determinato il venir meno delle condizioni di sicurezza.
In definitiva, la Corte ha ritenuto come i giudici torinesi non abbiano fatto buon governo dei principi giuridici che regolano l'individuazione della colpa ai sensi dell'art. 43 c.p.: essi hanno, infatti, omesso di considerare l'assenza, nel caso concreto, del requisito della prevedibilità dell'evento. Sulla base di tali motivazioni, la sentenza d'appello è stata dunque annullata con rinvio.