mercoledì 3 aprile 2019

La Sesta Sezione Penale della Suprema Corte rimette alle Sezioni Unite due questioni di diritto inerenti al principio di immutabilità del giudice.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2977, pronunciata all'udienza del 15 gennaio 2019 (deposito motivazioni in data 22 gennaio 2019), ha rimesso alle Sezioni Unite due questioni concernenti il principio di immutabilità del giudice di cui all'art. 525 cpv. c.p.p..

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di L'Aquila avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello aveva dichiarato nulla la sentenza di condanna di un imputato per vari reati di spaccio di sostanza stupefacente.
A fondamento di tale decisione, la Corte d'Appello aveva rilevato come la sentenza emessa dal Tribunale di Chieti avesse violato il principio di immutabilità del giudice di cui all'art. 525 comma 2 c.p.p.. Il Collegio, infatti, aveva subito una modificazione nella sua composizione (in particolare, era stato sostituito uno dei componenti) nella fase intercorrente tra la prima udienza, in occasione della quale era stato dichiarato aperto il dibattimento e pronunciata ordinanza di ammissione delle prove, e le udienze successive, nelle quali erano state assunte prove testimoniali. Pertanto, alla deliberazione della sentenza - aveva osservato la Corte  d'Appello - avevano partecipato magistrati in parte diversi rispetto a quelli che avevano presieduto al dibattimento, quest'ultimo da intendersi come tutti i momenti successivi alla sua dichiarazione di apertura.
La Corte aveva anche affermato come fosse del tutto irrilevante la circostanza che le parti avessero prestato acquiescenza all'utilizzazione delle prove acquisite dal precedente collegio: la violazione del principio di immutabilità del giudice aveva infatti dato luogo ad una nullità assoluta, con conseguente inapplicabilità delle norme in tema di deducibilità delle nullità e di sanatoria delle medesime ex artt. 182 e 183 c.p.p..

Con il proprio ricorso, il Procuratore generale denunciava inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 525 c.p.p.. La Corte d'Appello avrebbe infatti omesso di considerare due circostanze decisive ai fini della valutazione circa il rispetto del principio in discorso:
1) il Tribunale che aveva deliberato la sentenza era composto da tre magistrati innanzi ai quali si era svolta l'intera istruttoria dibattimentale: il collegio precedente si era infatti limitato ad ammettere con ordinanza le prove, immediatamente prima che intervenisse il mutamento della composizione;
2) in ogni caso, successivamente alla modificazione della composizione del collegio, le parti non avevano chiesto la rinnovazione dell'assunzione di alcun mezzo di prova, con conseguente implicita prestazione di consenso alla lettura delle dichiarazioni assunte in precedenza.

In relazione a tale motivo di ricorso, la Suprema Corte ha individuato due diverse questioni di diritto relative all'ambito di applicazione del principio di immutabilità del giudice di cui all'art. 525 comma 2 c.p.p., ed ha inoltre rilevato la sussistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali al riguardo.

Il punto di partenza del percorso giurisprudenziale relativo al principio in discorso è rappresentato dalle Sezioni Unite Iannasso, risalenti al 1999 (n. 2). Con tale sentenza, la Corte stabilì che qualora debba essere rinnovato il dibattimento, a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione di quello collegiale, la testimonianza assunta dal primo giudice non può essere utilizzata mediante una semplice lettura. L'esame del dichiarante - si osservò - deve invece essere ripetuto, sempre che ciò sia possibile ed una delle parti lo richieda. Qualora, invece, nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova già assunta in precedenza, il giudice è legittimato a disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti ed inserite negli atti dibattimentali.
In altri termini, dunque, le Sezioni Unite ebbero ad affermare come l'allegazione al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale, innanzi al giudice poi sostituito sia da considerarsi legittima, in caso di successiva rinnovazione del dibattimento. Tuttavia, l'utilizzabilità di tali dichiarazioni è legittima solo nel caso in cui l'esame non abbia luogo, ovvero se esso non si compia per volontà delle parti, la quale dev'essere manifestata espressamente o implicitamente, a seguito dell'omissione della richiesta di riassunzione della prova dichiarativa.
Inoltre, il Collegio, in un obiter dictum, affermò come la lettura delle precedenti dichiarazioni non sia legittima in caso di nuova richiesta di ammissione della prova e conseguente ammissione della stessa da parte del giudice ex artt. 190 e 495 c.p.p., dunque prima che sia eseguito il riesame del dichiarante; pertanto, la rinnovazione deve avere ad oggetto non solo la formulazione delle istanze probatorie e la successiva ordinanza ammissiva, ma anche l'assunzione della prova dichiarativa.
In sintesi, dunque, le Sezioni Unite avevano tratto dall'interpretazione dell'art. 525 c.p.p. i seguenti principi di diritto:
1) nell'ipotesi di mutamento della composizione del giudice, l'adozione di una nuova ordinanza di ammissione della prova dichiarativa ed il riesame del relativo dichiarante sono attività necessarie solamente se le parti ne abbiano richiesta la riaudizione;
2) in mancanza di tale istanza, ovvero in caso di consenso espressamente manifestato dalle parti o implicitamente desumibile dal silenzio da loro serbato, l'emissione di una nuova ordinanza di ammissione della prova ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p. non è necessaria ed il giudice, nella sua nuova composizione, è legittimato a dare lettura delle dichiarazioni rese nella precedente istruttoria dibattimentale.

Successivamente a tale pronuncia, tuttavia, si sono registrate delle oscillazioni interpretative in seno alla giurisprudenza delle sezioni semplici della Suprema Corte.
In particolare - hanno osservato nell'ordinanza i giudici di legittimità - si è discusso circa l'esatto significato dell'espressione "partecipazione al dibattimento". Da una parte, infatti, pacifica è l'irrilevanza, al riguardo, del compimento, da parte del giudice sostituito, di attività meramente ordinatorie, come, per esempio, il rinvio del dibattimento ad altra udienza o attività preliminari alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Dall'altra, nondimeno, la giurisprudenza di legittimità si è interrogata se sia rilevante, ai fini del rispetto del principio di cui all'art. 525 c.p.p., la diversa composizione tra il giudice che dispone l'ammissione della prova dichiarativa e quello innanzi al quale avviene l'assunzione della medesima.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il principio di immutabilità del giudice richiede l'identità tra colui che delibera la sentenza ed il soggetto che presiede all'assunzione della prova, cosicché a decidere sia il medesimo giudice che ha partecipato all'istruttoria dibattimentale. Tale interpretazione non rileva dunque alcuna nullità nell'ipotesi in cui il giudice collegiale che ha disposto l'acquisizione della prova non precostituita sia diverso rispetto al collegio che ha presieduto all'assunzione della prova ed ha successivamente deliberato la sentenza.
La Corte remittente ha dichiarato di aderire a questo orientamento interpretativo, ed ha rilevato come nel suo alveo si riconosca una variante. Alcune pronunce, infatti, nel confermare che il principio in oggetto esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha presieduto all'istruttoria dibattimentale, hanno aggiunto che non costituisce violazione dell'art. 525 c.p.p. la circostanza che, successivamente al provvedimento di ammissione delle prove e prima dell'inizio dell'istruttoria dibattimentale, sia mutato l'organo giudicante; ciò, tuttavia, solo a condizione che non venga presentata un'obiezione od un esplicita richiesta delle parti di rivisitazione dell'ordinanza ex art. 495 c.p.p..

Un secondo orientamento giurisprudenziale, invece, che ha trovato l'adesione della Corte d'Appello di L'Aquila, afferma come il principio di immutabilità del giudice riguardi lo svolgimento dell'intera attività dibattimentale, con la sola esclusione dei provvedimenti ordinatori relativi all'ordinato svolgimento del processo. Di conseguenza, il giudice che si pronuncia sulla richiesta delle prove, ed emette ordinanza di ammissione o negazione delle medesime, non può non essere il medesimo che delibera la sentenza. Così, ad esempio, sulla base di tale orientamento, fu considerato violato il principio in oggetto nell'ipotesi di diversa composizione del collegio che aveva presieduto alle conclusioni dei periti rispetto a quello che aveva in precedenza ammesso la prova, disposto la perizia e conferito l'incarico.

In altri termini, secondo questo diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, ad essere decisivo ai fini del rispetto della norma di cui all'art. 525 c.p.p. non è tanto il momento della dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 c.p.p., quanto l'adozione dell'ordinanza relativa alla richiesta di prove di cui all'art. 495 c.p.p.. Pertanto, il principio di immutabilità del giudice risulterebbe non violato solamente allorché il giudice che ha svolto l'istruttoria e deliberato la sentenza non sia il medesimo che ha prima compiuto l'accertamento circa la regolare costituzione delle parti e quindi dichiarato l'apertura del dibattimento.

La Corte ha poi rilevato un contrasto giurisprudenziale anche relativamente ad un'altra questione, ossia la definizione dei presupposti per ritenere che, stante il mutamento di composizione del giudice, le parti che non abbiano richiesto la rinnovazione dell'istruttoria abbiano pertanto implicitamente prestato il proprio consenso alla lettura - e dunque all'utilizzabilità - delle dichiarazioni rese prima del mutamento del giudice.

Riguardo a tale questione - ha osservato la Corte - risulta nettamente prevalente l'orientamento secondo il quale non si determina alcuna nullità della sentenza qualora le prove siano valutate da un giudice di diversa composizione rispetto a quello innanzi al quale le stesse siano state acquisite, se le parti né si sono a ciò opposte né hanno esplicitamente avanzato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In tale ipotesi, infatti, secondo tale orientamento, dev'essere inteso che le parti abbiano prestato consenso, anche se in maniera implicita, alla lettura degli atti in precedenza compiuti.

Anche con riferimento a tale questione, tuttavia, si è manifestato, come anticipato, un diverso orientamento giurisprudenziale, più restrittivo del primo. 
Esso sostiene come, in caso di modificazione della composizione del collegio, il consenso all'omissione della rinnovazione del dibattimento possa sì essere manifestato anche in forma tacita, ma a condizione che "il comportamento silente della parte sia univoco e, cioè, che ad esso possa essere attribuito esclusivamente il significato di acconsentire all'utilizzo delle prove precedentemente assunte". Pertanto, il silenzio delle parti dev'essere considerato come un dato di per sé neutro, che necessita di essere riempito da ulteriori circostanze significanti (come "una qualche forma di richiesta o di sollecitazione formulata al giudice nella nuova composizione"), tali da attribuire a tale comportamento omissivo una valenza univoca. A titolo di esempio di tale orientamento, la Corte ha riportato la recente pronuncia n. 17982/18 della stessa Sesta Sezione, nella quale si è affermato come il giudice, nella nuova composizione, debba sempre "chiedere alle parti se intendano procedere alla materiale rinnovazione dell'attività dibattimentale compiuta o se, invece, intendano direttamente utilizzare quella già espletata".
Peraltro - si è osservato - tale orientamento è stato in particolare sostenuto laddove "l'attività svolta dal giudice abbia potuto ingenerare nelle parti incomprensioni o equivoci, come, ad esempio, deve ritenersi si verifichi in tutti i casi in cui il mutamento della composizione soggettiva del giudice sia avvenuto nel corso del dibattimento o della discussione finale, senza essere stato in alcun modo evidenziato all'attenzione delle parti interessate".

Sulla base di tali osservazioni, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dunque rimesso alle Sezioni Unite le seguenti due questioni di diritto: 

1) "se il principio di immutabilità del giudice, sancito dall'art. 525 comma 2 c.p.p., riguarda l'effettivo svolgimento dell'intera fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, comprensiva anche del momento della formulazione delle richieste delle prove e/o di quello dell'adozione della relativa ordinanza di ammissione, oppure è principio che inerisce solo alla fase dibattimentale dell'assunzione delle prove dichiarative;

2) "se per il rispetto del principio di immutabilità del giudice, sancito dall'art. 525 comma 2 c.p.p., in caso di mutamento della composizione del giudice dopo l'assunzione delle prove dichiarative, è sufficiente solo accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento oppure occorre verificare la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati".