domenica 12 maggio 2019

Riforma della sentenza assolutoria di primo grado in seguito ad appello della parte civile: la Suprema Corte ribadisce la necessità di rinnovazione delle prove orali la cui attendibilità sia stata diversamente valutata rispetto al giudice di prima istanza.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 5890, pronunciata all'udienza del 21 dicembre 2018 (deposito motivazioni in data 7 febbraio 2019), ha preso in esame la questione di diritto relativa all'obbligo, gravante in capo al giudice d'appello, di disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale qualora intenda riformare una sentenza assolutoria di primo grado.

Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Bari aveva riformato la pronuncia di assoluzione emessa dal Tribunale di Foggia, ed aveva giudicato il ricorrente responsabile del reato di omicidio colposo. Poiché la Corte aveva dichiarato inammissibile per tardività l'appello del Pubblico Ministero, la responsabilità era stata dichiarata ai soli fini civili, in accoglimento dell'appello proposto dalla Parte Civile.

L'imputato, gestore di un esercizio di ristorazione, era stato, in particolare, giudicato responsabile della morte di un avventore del locale: pur essendo, infatti, a conoscenza delle poli-allergie del cliente (tra cui morbo celiaco ed allergia al grano), in quanto informato dai genitori di quest'ultimo, ed avendo quindi concordato un pasto tale da escludere alimenti dannosi alla di lui salute, aveva somministrato una diversa vivanda contenente grano, la quale aveva provocato al commensale un'insufficienza cardio-respiratoria da shock anafilattico, con conseguente decesso del medesimo.

L'imputato, per quanto qui di interesse, aveva fondato il proprio ricorso sui seguenti motivi:

1) la sentenza della Corte d'Appello era da considerarsi viziata nella sua motivazione, non avendo il giudice del gravame adottato una motivazione rafforzata rispetto a quella del giudice di primo grado, tale quindi da non far residuare un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell'imputato. In particolare, la Corte era incorsa in un vizio processuale, avendo solo parzialmente rinnovato le prove dichiarative, con esclusione di quattro testimoni ascoltati in primo grado. Ciò si porrebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in tema di pronuncia di reformatio in pejus, proprio in relazione alla quale sono stati enunciati i principi relativi alla motivazione rafforzata ed alla rinnovazione delle prove dichiarative;

2) la mancata rinnovazione dibattimentale si porrebbe in contrasto non solo con la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della CEDU, ma anche con il testo dell'art. 603 comma 3 bis c.p.p., introdotto dalla Riforma Orlando, il quale impone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in caso di reformatio in pejus.

La Suprema Corte ha innanzitutto rilevato come il Tribunale fosse pervenuto alla pronuncia di assoluzione dell'imputato sulla base di una prova documentale nonché di diverse dichiarazioni, tra cui quelle delle persone offese in parte costituite parte civile; in relazione a quest'ultime aveva affermato come il controllo di attendibilità dovesse essere più scrupoloso e penetrante, trattandosi di soggetti portatori di interessi contrapposti a quelli dell'imputato. 
In sintesi, nella prova documentale consistente nella scrittura con cui era stato concordato il menù si era fatto genericamente riferimento ad un "pasto per celiaco", senza che fosse menzionata alcuna allergia particolare. Le dichiarazioni delle persone offese dal reato erano invece state giudicate contraddittorie sia intrinsecamente sia in rapporto tra di loro, in relazione alla decisiva circostanza se il gestore del ristorante fosse stato o meno reso edotto della gravità ed entità delle allergie del commensale e sui conseguenti pericoli in caso di trasgressione del regime alimentare. 
Inoltre, anche dalle altre dichiarazioni assunte in dibattimento, tra cui quella del medico intervenuto in soccorso della vittima, era emerso come in capo all'imputato non si fosse formata la consapevolezza della specifica allergia del cliente ai cereali, ma solo della celiachia di quest'ultimo, non avendo dunque avuto il ricorrente contezza delle gravi conseguenze potenzialmente derivanti dalla somministrazione di alimenti allergenici.

Il Tribunale di Foggia aveva dunque ritenuto come non vi fosse la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, circa la consapevolezza, in capo al gestore del ristorante, che il commensale fosse non solo celiaco, ma anche allergico al grano, e che quindi un pasto diverso da quello concordato avrebbe potuto provocare la morte del cliente; pertanto, aveva assolto l'imputato perché il fatto non costituiva reato.

La Corte d'Appello di Bari aveva invece riformato in pejus la sentenza, condannando ai soli fini civili l'imputato, sulla base, come anticipato, di una rinnovazione istruttoria solo parziale, in quanto limitata all'assunzione della testimonianza dei genitori della vittima, le cui dichiarazioni aveva ritenuto essere confermate dalle altre risultanze istruttorie.  Inoltre, le medesime dichiarazioni erano state ritenute attendibili pur presentando, come riconosciuto dalla Corte d'Appello stessa, alcune discordanze; quest'ultime, infatti, erano state giudicate non "così significative da elidere il complessivo valore probatorio delle narrazioni, non riguardando momenti essenziali delle stesse". Nel contempo, le dichiarazioni del medico intervenuto erano state invece ritenute inattendibili, essendo egli "soggetto in posizione "delicata"", non avendo compreso la gravità della situazione, la quale richiedeva l'immediata somministrazione di farmaci salvavita, mentre il medico aveva ritardato la somministrazione di adrenalina e l'immediato ricovero della vittima.

I giudici di legittimità, prendendo in esame i motivi proposti dal ricorrente, hanno quindi ripercorso gli arresti giurisprudenziali più significativi con riguardo al tema della riforma della sentenza assolutoria di primo grado.
Già nel 2005, le Sezioni Unite "Mannino" (n. 33748) avevano affermato come il giudice d'appello abbia, in questo caso, l'obbligo di "delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato". 
Un'importante svolta giurisprudenziale si è poi registrata, a livello europeo, con la Sentenza della CEDU Dan c. Moldavia del 5.11.11, il cui contenuto è stato essenzialmente ripreso dalla nota Sentenza "Dasgupta" delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 27620/16). In tali pronunce, si è affermato come il giudice che operi una reformatio in pejus abbia l'obbligo, al fine di adempiere al proprio onere di motivazione rafforzata, di effettuare una nuova assunzione diretta dei testimoni nel giudizio di impugnazione. L'omissione di tale rinnovazione istruttoria è da considerarsi una violazione dell'art. 533 c.p.p., in relazione all'art. 603 c.p.p., così come interpretato sulla base dell'art. 6 par. 3 lett. d CEDU, il quale prevede il diritto dell'imputato di "esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico".

Nella fattispecie in esame, ha osservato la Suprema Corte, il giudice d'appello ha, da un lato, fondato la propria statuizione di colpevolezza sulle dichiarazioni di testimoni che nel giudizio di primo grado non erano state ritenute idonee a fondare un giudizio di responsabilità; tali dichiarazioni, tuttavia, non erano le medesime utilizzate dal giudice di primo grado per adottare una sentenza di assoluzione: la Corte d'Appello aveva infatti proceduto con la rinnovazione istruttoria, su istanza della parte civile, riassumendo le testimonianze d'accusa, già ritenute imprecise e contraddittorie dal Tribunale.
D'altro lato, la sentenza della Corte d'Appello è stata considerata carente nella sua logicità e legittimità a causa dell'omessa rinnovazione delle ulteriori prove dichiarative: l'ordinanza di esclusione della rinnovazione è stata giudicata dalla Suprema Corte "assolutamente contraddittoria ed illogica", in quanto da un lato "ha ritenuto compreso nel devoluto la integrazione istruttoria consistente nella rinnovazione dell'assunzione dei testi di accusa", mentre al contempo ha escluso l'utilità di estendere la rinnovazione anche agli altri testi, per non essere stata altresì devoluta una diversa valutazione delle dichiarazioni di quest'ultimi.

Tale decisione è tuttavia da considerarsi in totale contrasto con quanto affermato da parte delle Sezioni Unite Dasgupta, le quali hanno affermato come al giudice d'appello non sia consentito "riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato senza aver proceduto, anche d'ufficio..., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni su fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio di primo grado". A questo proposito, le Sezioni Unite indicarono come "decisive" quelle prove le quali "hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull'esito del giudizio di appello, nell'alternativa proscioglimento - condanna".
La Corte d'Appello è dunque incorsa, secondo i giudici di legittimità, in un grave errore logico: da un lato ha giudicato necessario un approfondimento istruttorio in relazione alle dichiarazioni dei genitori della vittima, già ritenute contraddittorie dal Tribunale, ed oggetto di richiesta di rivalutazione della Parte Civile; dall'altro, ha ritenuto di utilizzare le altre dichiarazioni testimoniali già considerate rilevanti dal giudice di primo grado per la propria decisione, nei loro contenuti originari, "pronosticando la stabilità del loro orizzonte probatorio e anticipando una valutazione di "inutilità" per non essere le stesse, verosimilmente, in grado di alterare gli equilibri della complessiva istruttoria dibattimentale".
Il giudice di secondo grado ha quindi erroneamente omesso di considerare il "collegamento e l'interferenza" intercorrenti tra le diverse testimonianze, finendo in questo modo per "parcellizzare la rinnovazione istruttoria" e sminuire l'importanza delle prove dichiarative che avevano in particolar modo determinato il giudizio del Tribunale: da esse infatti erano stati tratti i più significativi dubbi circa la consapevolezza, in capo all'imputato, della natura e gravità delle allergie della vittima e, quindi, circa l'attendibilità della deposizione delle persone offese.

La decisione della Corte d'Appello si pone peraltro in contrasto, anche da questo punto di vista, con la giurisprudenza di legittimità la quale, anteriormente alla pronuncia delle Sezioni Unite Dasgupta, aveva stabilito come sussista "un vero e proprio obbligo in capo al giudice di appello che intenda riformare una sentenza liberatoria di primo grado, di disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per assumere nuovamente le prove orali qualora questi valuti diversamente la loro attendibilità rispetto al giudice di prima istanza" (Sez. V, n. 6403/15; Sez. II, n. 32619/14).
Nel caso di specie, dunque, il giudice d'appello è incorso in errore nell'apprezzare il valore probatorio delle dichiarazioni delle persone offese come risultante dall'avvenuta rinnovazione, rinunciando nel contempo ad effettuare un confronto paritetico degli altri e diversi apporti dichiarativi. Dall'assunzione degli altri testi, sarebbe infatti stato possibile "fare risaltare circostanze, rimaste necessariamente nell'ombra nella congerie di informazioni richieste ai testi nella cross examination dinanzi al primo giudice, sulla possibilità dell'imputato di prefigurarsi eventi categorialmente riconducibili a quello occorso, valutazione inscindibilmente saldata a quella sulla attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese dal reato".
I giudici di legittimità, inoltre, in accordo con quanto sostenuto nei motivi di ricorso, hanno rilevato la violazione, da parte della Corte d'Appello, dell'art. 603 comma 3 bis c.p.p., introdotto dalla l. 103/17; esso impone infatti, come noto, di effettuare la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in caso di appello del pubblico ministero (ma lo stesso principio può essere esteso all'ipotesi di appello proposto dalla parte civile, anche in esito a giudizio abbreviato, come già affermato dalle Sezioni Unite Dasgupta e Patalano) contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.

Infine, la Corte ha ritenuto non pertinente, nel caso concreto, il richiamo alla giurisprudenza di legittimità la quale, partendo da quanto affermato dalle Sezioni Unite, aveva escluso la necessità di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale allorché la pronuncia di condanna derivi da un diverso accertamento dei fatti determinato da una rivalutazione del complessivo materiale dichiarativo e documentale (Sez. V, 42746/17).

Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte ha dunque annullato la sentenza della Corte d'Appello limitatamente agli effetti civili, disponendo di conseguenza il rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello.